Solitamente, con l’arrivo del caldo estivo, telegiornali e affini si focalizzano sugli stessi argomenti triti: i classici rimedi contro il caldo, le temperature che ancora una volta si rivelano essere “le più calde dagli anni 50” e – inevitabilmente – gli sbarchi dei migranti. Ma quest’anno, lo sappiamo, il Covid-19 regna senza nemici sulla terra del giornalismo che sembra aver dimenticato ogni altro problema sociale.
Eppure qualcuno ha deciso di fare una scelta controcorrente. Il 4 agosto, nel Giardino della Triennale di Milano, il MotoTeatro Oscar ospiterà il Teatro delle Albe con lo spettacolo Rumore di acque di Marco Martinelli, nel decimo anniversario dal debutto. Alessandro Renda, accompagnato dalle musiche dei fratelli Mancuso, porta in vita un militare decorato, inviato a contare i cadaveri dei migranti che hanno tentato la traversata del Mediterraneo, in un monologo pieno di rabbia e sdegno: “il generale è lì per tenere i conti […] ma i conti non tornano mai”. Nella foga burocratica di sistemare tutti i morti in un ordine mai raggiungibile, qualche volto fa capolino con la sua storia e chiede uno sguardo che riconosca i suoi tratti umani, che superi il livellamento compiuto dai media ogni giorno sulla pelle pulsante dei migranti.
Ma cosa c’entra portare uno spettacolo sui migranti ora che la crisi incombe, ora che i problemi sembrano essere altri, ora che una pandemia la fa da padrona sulle bocche dei politici e degli uomini comuni? Cosa c’entra tutto quello che abbiamo vissuto finora in questo 2020 sui generis con un tema, quello delle migrazioni, che sembra appartenere a un’epoca sbiadita e quasi dimenticata?
Durante la quarantena primaverile, il controllo delle statistiche e dei numeri dei contagi era diventato rito imperdibile, spesso fatto prima di coricarsi come preghiera della sera, prima di chiudere gli occhi e lasciare fuori tutto. Il desiderio di informazione su ogni variazione della curva epidemica era un’ossessione che voleva risolversi con delle rassicurazioni a buon mercato: certamente non capiterà a me, oggi meglio di ieri, se ci fossero misure di contenimento più rigide… Ma tutto questo lasciava fuori anche la sofferenza e la morte in solitudine di migliaia di uomini e donne che avrebbero solo desiderato una mano a cui aggrapparsi e degli occhi familiari in cui fissarsi, almeno per l’ultima volta.
I numeri e gli studi statistici a cui siamo sempre tentati di ridurre le morti di qualsiasi disastro, naturale o artificiale, si lasciano sfuggire un bisogno di verità e di interezza: i migranti africani dispersi e le vittime del Covid-19 chiedono la stessa possibilità di raccontarsi come persone che soffrono e desiderano dare un senso a tutta la fatica e il dolore a cui sono sottoposti. Al di sopra di ogni politica di inclusione, prevenzione o non accoglienza, Rumore di acque si pone all’incrocio tra atteggiamenti e opinioni diverse nelle quali tuttavia può emergere uno sguardo di pietà. E anche in questo periodo in cui tutta la nostra attenzione è rivolta, spesso in modo anomalo, alla pandemia, lo spettacolo di Martinelli ci chiede di fermarci e ripensare i criteri con cui affrontiamo le sfide della vita.