All’Udienza generale del 18 aprile 2007, nell’ambito di una serie di presentazioni di figure del primo cristianesimo, Benedetto XVI scelse la figura di Clemente Alessandrino. Una presentazione molto partecipe e particolarmente fascinosa, perché consona con la visione che il Pontefice aveva più volte espressa in importanti discorsi come quello di Ratisbona. Come rileva Papa Benedetto, “l’Alessandrino costruisce la seconda grande occasione di dialogo tra l’annuncio cristiano e la filosofia greca” dopo il discorso di Paolo all’Areopago. E già Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et Ratio aveva affermato che Clemente interpretava la filosofia come “un’istruzione propedeutica alla fede cristiana”.



Clemente nacque ad Atene intorno al 150, ebbe quindi una profonda conoscenza culturale e filosofica delle grandi personalità del pensiero greco classico. Come dice egli stesso, andò poi cercando in altri paesi nuovi maestri, appartenenti a popoli diversi, fino a stabilirsi ad Alessandria d’Egitto presso la Scuola di teologia, in cui fu prima discepolo e poi direttore ed ebbe come allievi grandi personalità del pensiero teologico dell’epoca. Durante la persecuzione di Settimio Severo lasciò l’Egitto e si stabilì in Cappadocia, dove sostenne e guidò la chiesa locale durante la prigionia del vescovo Alessandro, che era stato suo discepolo e amico.



La concezione di una praeparatio evangelica attraverso la filosofia antica, sia greca sia di altri popoli pagani, percorre le sue opere. Certamente questa concezione non fu raggiunta e diffusa senza difficoltà. Negli Stromateis, l’opera “Miscellanea” che raccoglie moltissimi spunti del suo pensiero, traspare l’opposizione che Clemente incontrò nel suo tentativo di valorizzare la ricerca dei pagani. Già quasi all’inizio dell’opera si parla di “chiacchiere di paurosi per ignoranza” che ritengono superfluo occuparsi d’altro se non di ciò che è indispensabile alla fede, e “pensano che la filosofia venga dal male e si sia insinuata nella vita per la rovina degli uomini ad opera di un malvagio inventore”: più avanti riporterà più esplicitamente l’accusa che la filosofia sia opera del diavolo, l’angelo decaduto ladro di qualche frammento della verità divina. Ma sia l’accusa di occuparsi di vanità sia l’idea del furto diabolico sono affrontate con baldanza. Più volte è ribadita l’importanza educativa della filosofia nel disegno Provvidenziale di Dio: “Di tutte le cose buone, infatti, è causa Dio, ma di alcune, come l’Antico e Nuovo Testamento, primariamente, di altre, quali la filosofia, in secondo luogo”; “Forse anche la filosofia è stata data ai Greci come guida, prima che il Signore chiamasse anche i Greci: anch’essa infatti educava i Greci come la legge gli Ebrei, per condurli a Cristo”; e anche “Una sola dunque è la via della verità, ma ad essa come ad un fiume dall’eterna corrente confluiscono diversi corsi d’acqua da diverse sorgenti”. Clemente sa che i sistemi filosofici sono molti e spesso in opposizione fra loro: ma, pur condannandone alcuni aspetti, il teologo alessandrino ha in mente una sorta di disegno, un “insieme selezionato”, in cui confluisce ciò che “è affermato di bene in ciascuna di queste scuole”. È tuttavia evidente una predilezione per il pensiero platonico, di cui cita in particolare il discorso di Socrate nel Fedone sulla sua esperienza di ricerca della verità “finché la conosceremo, qualora Dio lo voglia, una volta giunti là”.



Ma da dove nascono le concezioni di ciascun pensatore? Già un apologista della generazione precedente a Clemente, Giustino, aveva affermato che esistono nell’uomo dei “semi di verità” o delle “verità in seme”. Clemente persegue l’idea che si possa arrivare a sfiorare la verità, anche se in maniera confusa e incompleta, così “preparando la via all’insegnamento più importante, rendendo l’uomo saggio, formando il carattere e preparando a ricevere la verità se uno crede nella Provvidenza”. Quanto all’accusa di un intervento del demonio, come insistono in modo evidentemente oppressivo i suoi oppositori anche utilizzando passi biblici, se pure fosse accettabile dovremmo credere che  l’opera della Provvidenza intervenga portando a buon fine questa azione negativa. In una viva discussione su volontarietà e involontarietà,  su causa ed effetto, di matrice chiaramente aristotelica, Clemente afferma la libertà di Dio di permettere che il male avvenga, per poterlo volgere al bene.

Come comunicare la verità della fede? Clemente vive all’epoca in cui si va diffondendo la cosiddetta neosofistica, un movimento di conferenzieri vaganti che con una lingua molto elegante e una preparazione retorica accurata attirano gli ascoltatori su qualunque tema. Anche il teologo alessandrino usa una lingua lontana dal parlato comune, una lingua che riprende il greco dei grandi autori dell’età classica, e  sa utilizzare l’argomentazione con molta cura. Ma rifiuta dei neosofisti la vuotezza di contenuti, la presunzione di affascinare senza educare, di attrarre il pubblico in dispute vuote, mentre per lui la parola è comunicazione e annuncio.