C’è un centenario minore, tra le ricorrenze francescane che ci stanno venendo incontro, che potrebbe sfuggirci. Di certo, nonostante la secolarizzazione imperante e il politicamente corretto, avremo modo di rammentarci che in questo 2023 cade l’ottocentenario del primo presepe, secondo tradizione pensato e voluto da san Francesco a Greccio, in provincia di Rieti. Probabilmente non molti presteranno la dovuta attenzione al fatto che, sempre in quest’anno, per la precisione il 29 novembre, cade la ricorrenza dell’approvazione nel 1223 della regola di san Francesco, da parte di papa Onorio III. Chi però volesse andare più a fondo della figura del patrono d’Italia – salito al cielo nel 1226, ed avremo perciò anche quest’altra importante ricorrenza fra tre anni – potrebbe trovare giovamento in un abbozzo di biografia del tutto inusuale del santo, diversa da molte altre. Quella scritta in modo appassionato da Gilbert Keith Chesterton esattamente cento anni fa.



Con la sua brillante intelligenza e il suo anticonformismo, Chesterton era entrato ufficialmente nella Chiesa cattolica nel 1922. L’anno dopo dedicò pagine ancora oggi attualissime al santo di Assisi. Nel 1933 ci regalerà un’altra straordinaria biografia, sulla figura di san Tommaso d’Aquino. Se qualcuno avvertisse qualche allergia a un san Francesco troppo ecologista o troppo sentimentale, in queste pagine troverà validi anticorpi. Così come troverà argomenti per contestare gli scettici moderni, per rimettere in discussione il luogo comune dei “secoli bui” medievali e per rintuzzare chi volesse ridurre tutta la vicenda francescana a questioni politiche o socio-economiche.



Chesterton, nella sua genialità profetica, giocò d’anticipo, previde certe riduzioni divenute di moda. Nel ritratto a tutto tondo del poverello di Assisi, ebbe soprattutto un’intuizione potente. San Francesco aveva in sé una tale grandezza e unicità da poter diventare il fondatore di una nuova religione. E molti seguaci erano certamente pronti a seguirlo, disposti ad “eclissare il cristianesimo”. Questo era il problema che il papa doveva risolvere, come sottolinea Chesterton: se il cristianesimo dovesse assorbire Francesco, o Francesco il cristianesimo. E il papa prese la decisione giusta. “Nella Chiesa di Dio ci sono molti palazzi”. Del resto san Francesco, anche volendolo dipingere come dissennato, romantico, eretico mancato o santamente ignorante, era – per GKC – legato all’ortodossia cristiana quanto era “attaccato alla ragione da un filo invisibile ma indistruttibile”. Così come era innamorato di Cristo, poi della natura e degli uomini. Non dell’umanità generica: degli uomini.



In un’eccellente postfazione alla riedizione della biografia chestertoniana di san Francesco, realizzata da Lindau nel 2008, Giulio Meotti ci offre una segnalazione preziosa. Furono due ebrei laici come Franz Kafka e Hannah Arendt (a smentire le malevole accuse di antisemitismo usate da taluni contro GKC) ad essere tra i più acuti lettori di Chesterton. Scriveva la Arendt: “spuntò un movimento di rinascita cattolico ben diverso, i cui principali rappresentanti furono Péguy e Bernanos in Francia e Chesterton in Inghilterra. Ciò che questi uomini odiavano nel mondo moderno non era la democrazia, ma la sua mancanza. Ciò a cui aspiravano era la libertà per il popolo e la libertà per le menti”.

Forse è troppo chiedere che il destino susciti un san Francesco nei nostri tempi bui. Potremmo però sperare che ci venga regalato un nuovo GKC. In ogni caso il dono della sua intelligenza è ancora qui, vivo e attingibile.

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