Nello studio di uno psicoanalista non si trovano facilmente delle immagini religiose, ma nel mio è sempre stato in bella mostra il dipinto di un’icona di San Giorgio. Il motivo? All’inizio della mia formazione mi rimase impresso il commento di un personaggio del libro Kristin figlia di Lavrans, dove un monaco, intento a dipingere la miniatura del santo guerriero, si sorprende considerando quanto piccolo fosse il drago al cospetto della maestosità del cavaliere. Lo spunto offerto al pensiero da entrambe le opere, il romanzo di Sigrid Undset e l’icona di san Giorgio, mi è sempre parso pregevole: se non affrontato, il male(essere) – contrario e avverso al ben-essere – può apparire enorme, spaventoso e invincibile.



Quando invece è affrontato, la prospettiva muta radicalmente, le dimensioni del drago diventano ragionevoli, il mostro diventa affrontabile e vincibile. È, a mio avviso, la situazione in cui si trova chi decide di iniziare un’analisi personale. Tale situazione sarebbe auspicabile anche nelle vicende sovraindividuali, dei popoli e degli Stati, ma in questo campo tale aspettativa va il più delle volte delusa.



Le scarne e incerte fonti disponibili collocano la nascita di san Giorgio (George) in Anatolia, sul finire del III secolo. Battezzato, educato come cristiano, il giovane apprende l’arte della guerra, entrando secondo le fonti più accreditate, nella cerchia ristretta delle milizie dell’imperatore Diocleziano. Quando Giorgio rifiuta l’incarico di perseguitare i cristiani viene incarcerato per sei anni e infine decapitato. Durante la prigionia il santo realizza molti impressionanti miracoli e altrettante importanti conversioni, tra le quali spiccano quella del capo delle milizie di Diocleziano e della moglie, l’imperatrice Alessandra, futura martire. Eroiche imprese che gli varranno gli appellativi di megalomartire e di Giorgio il vincitore.



Nei secoli difficili seguiti alla fine dell’Impero romano la paura delle guerre, il bisogno di protezione o la volontà di conquista, spinsero regnanti e popolazioni a trasformare il culto del santo martire, che si era diffuso sin dal V secolo, nel culto del santo guerriero vincitore. Tale immagine, adorna di armatura, lancia, spada e cavallo da guerra, ripropone la rappresentazione equestre degli imperatori romani. In questa forma la devozione del santo si è diffusa nel mondo di allora: da Costantinopoli a Kiev, da Genova a Londra, dalla Palestina, dove il santo trovò il martirio, alla Catalogna, all’Africa settentrionale.

Nell’agiografia più antica (V-VI-VII secolo) pur ricca di miracoli, alcuni probabilmente leggendari, non c’è però traccia di draghi e cavalcature: il santo guerriero è spesso rappresentato in piedi, mentre regge la lancia. La comparsa del drago e della cavalcatura nell’iconografia di san Giorgio è piuttosto tarda, e si impone decisamente dopo il XI secolo. Tale variante iconografica si deve alla ripresa, in chiave sacra, di un’effigie equestre di Costantino, nella quale l’imperatore a cavallo schiaccia un mostro dalle sembianze di un grande serpente, simbolo del nemico della civiltà e della pace, che l’impero rappresenta e protegge.

Tuttavia, la consacrazione del racconto che lega san Giorgio e il drago si deve alla Leggenda Aurea, l’opera che Jacopo da Varazze, vescovo di Genova, scrisse nel XIII sec., circa mille anni dopo la nascita di san Giorgio. Nella Leggenda Aurea, san Giorgio salva da un drago una principessa nordafricana e la sua città da molto tempo insidiata da un mostro, che aveva fatto strage di bestie e uomini, ottenendo, grazie all’impresa cavalleresca, la conversione dei genitori della principessa e di tutta la popolazione. Il canone utilizzato da Jacopo da Varazze entrò presto in risonanza con la letteratura cortese, che avvolse tutta la vicenda di un alone romantico, che non gli appartiene. In questo contesto il drago rappresenta l’impeto erotico che il cavaliere è tenuto a domare ed estinguere, coinvolgendo la dama in una relazione sentimentale alimentata da una costante tensione sensuale, inappagabile per definizione.

La contaminazione tra la Leggenda Aurea e la letteratura cortese porta con sé un’importante distorsione delle imprese eroiche di San Giorgio. In particolare, il focus del racconto si sposta sulle vicende sentimentali di due individui che paiono avulse dal contesto politico circostante, mentre l’immagine del santo guerriero, realizzata sul modello delle rappresentazioni equestri degli imperatori, veicola l’immagine di un individuo non privato, un soggetto politico, uno statista in pieno controllo sulla propria cavalcatura (lo Stato), che conosce la guerra e quindi la combatte, che non perde le staffe neppure nelle situazioni più cruciali, attrezzato a sufficienza per affrontare anche le crisi più spaventose.

Lasciando libera la memoria di cercare nella storia recente, i primi riferimenti ad imporsi al cospetto di una simile immagine, sono personalità come quelle dei presidenti Kennedy e Krusciov e di papa Giovanni XXIII, per come seppero condursi di fronte al “drago” del conflitto nucleare. Mentre per gli attuali leader mondiali, che si combattono a Leopoli, Kiev e Mariupol’ – le terre dove la devozione a san Giorgio si è radicata oltre mille anni fa –, la domanda che si impone è se siano soverchiati dal drago, o non abbiano invece scelto di cavalcarlo, indifferenti al compito di ogni imperatore: difendere la civiltà e la pace.

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