Non è andato giù sicuramente leggero Mario Draghi quando in conferenza stampa, a proposito delle tempistiche vaccinali, ha tirato in ballo coscienza e responsabilità. “Con che coscienza la gente salta la lista lasciando esposto a rischi chi ha più di 75 anni?”. E ancora: “la coscienza riguarda i cittadini, la responsabilità è di ognuno di noi”.
Sono affermazioni che fanno sobbalzare o meglio che ridestano. Perché vanno ad incrociare quella cosa così unica e preziosa che è la nostra libertà.
Ma le prenotazioni del vaccino sono una piccola cosa, un dettaglio dell’esistenza, potremmo dire, un problema organizzativo, perché scomodare questioni così importanti come la libertà? Perché è quella stessa piccola libertà evocata da Draghi, con le parole coscienza e responsabilità, che determina anche in scenari più grandi la vita degli uomini.
Nella storia, tutto ultimamente è sempre stato determinato dalla scelta libera di una persona che ha detto sì o no, che ha preso o no quella decisione, che ha dato o no quell’ordine. Ma anche dalla libertà di chi ha deciso di dare una mano a chi aveva bisogno, di chi ha trovato il coraggio di correre un rischio personale per un bene più grande, di chi ha accettato di mettersi insieme ad altri per costruire percorsi e opere. Fino a chi ha scelto di sacrificare anche la vita per affermare la verità e difendere la libertà. Nel bene e nel male è sempre stata la libertà di un uomo, di tanti uomini, a fare la storia.
C’è un piccolo libro di Adrien Candiard, un giovane e simpatico domenicano francese, che oggi vive in Egitto e si occupa di islam. Il suo Sulla soglia della coscienza è un inno alla libertà attraverso il racconto di una storia del cristianesimo dei primi anni.
San Paolo era stato visitato in carcere da un certo Onesimo, uno schiavo che era riuscito a fuggire dal suo padrone Filemone. Filemone era nientemeno che un amico di Paolo, da lui convertito alla nuova religione cristiana. Paolo avrebbe potuto rimandare Onesimo da Filemone, suggerendogli con autorità di lasciare libero lo schiavo e con molta probabilità Filemone avrebbe obbedito. Ma, come scrive Candiard, Paolo “ha in mente un’urgenza ancora più importante della liberazione di Onesimo: la liberazione di Filemone”. Ha in mente di educarlo alla verità, nella libertà. E sa che “non è facile rispettare la libertà di Filemone aiutandolo al tempo stesso a vedere la verità. Portarlo a fare il bene senza ordinarglielo. Aiutarlo a diventare migliore, non a fare questo o quello”. Paolo investe e rischia sulla libertà di Filemone. Sa che l’amico ha incontrato lo stesso amore che lui, Paolo, un giorno aveva incontrato sulla via di Damasco e desiderando che il bene “non sia forzato, ma volontario” chiede a Filemone di liberare lo schiavo; non glielo ordina, come avrebbe potuto fare, ma si affida alla sua carità. Onesimo viene liberato da un gesto di libertà! L’ingiustizia della schiavitù era stata vinta dalla libertà.
Cose di altri tempi, potremmo dire, ma se pensiamo alle mille piccole e grandi ingiustizie, che oggi uomini e popoli subiscono, non possiamo non desiderare che gesti di libertà cambino il mondo. Il mondo che abbiamo intorno, nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, nelle nostre città. Ma anche il mondo dei grandi conflitti internazionali, delle guerre, delle violenze.
C’è solo un fattore che può farci sperare nell’esercizio di questa libertà volta al bene. Che non vengano meno testimoni e maestri di questo bene. Perché, vedendoli all’opera, anche il nostro cuore potrebbe riaccendersi e diventare capace di desiderare liberamente il bene, fino a sacrificarsi per questo.
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