Applicare le notevoli conoscenze acquisite negli ultimi decenni nel campo dell’evoluzione biologica e culturale dell’uomo per comprendere come sia sorta e si sia sviluppata la sua morale lungo i millenni è un compito difficile, ma che in qualche misura s’impone. Lo cerca di assolvere il filosofo Hanno Sauer in L’invenzione del bene e del male (Laterza, 2024). La sua è una storia della genesi e dello sviluppo della morale dell’uomo, non una storia della riflessione sulla morale o filosofia morale. Basandosi in buona parte su dati delle scienze riguardanti spesso un lontano passato e in continua evoluzione, essa potrebbe in futuro subire correzioni anche significative. Spesso, infatti, l’autore ricorre esplicitamente a quelle che lui stesso definisce ipotesi. L’idea di base del volume è che ci sia stato un faticoso, ma progressivo allargamento della sfera della morale, intesa come riconoscimento della dignità e autonomia di quelli che una volta erano considerati estranei, attraverso un processo di ammaestramento dell’uomo operato su sé stesso.
Sauer osserva: “Attualmente l’ipotesi più credibile è che ci siamo addomesticati da soli limitandoci a eliminare i membri più aggressivi e violenti dei nostri gruppi. Ciò doveva avvenire non di rado mediante piccole cospirazioni con le quali si faceva piazza pulita dei più odiosi disturbatori della quiete pubblica tendendo qualche imboscata notturna. Il fatto che a questi tiranni preistorici siano stati preclusi ulteriori successi riproduttivi provocandone la violenta scomparsa ha fatto sì che l’aggressività, il ridotto autocontrollo degli impulsi e il comportamento violento si indebolissero progressivamente”. In particolare, Sauer, basandosi sugli studi di Joseph Henrich della Harvard University, valorizza il ruolo svolto dalla Chiesa cattolica medioevale nello sviluppo dell’individuo “occidentale”, dotato di una morale più universalista, grazie ai divieti riguardanti i matrimoni fra consanguinei.
In generale nel volume si sottolinea che quanto più una cultura diventa col tempo prospera e sicura, tanto minore è il grado di soddisfazione procurato dalle risorse economiche, ragion per cui quello dei valori emancipativi comincia a crescere d’importanza. Tutti gli esseri umani aspirano alla libertà e all’autonomia, ma solo quando questi valori hanno acquistato una sufficiente importanza relativa possono essere rivendicati con la dovuta insistenza.
Ma perché gli uomini sono diventati capaci di morale? “Gli esseri viventi che dispongono di cultura cumulativa (cioè noi) sono esseri dotati di capacità morale. La crescita della nostra capacità di apprendimento ci ha dotato di una ricca psicologia normativa che ci permette di apprendere e rispettare regole sociali complesse. Ciò significa anche che l’evoluzione culturale permette un certo grado di variabilità nelle norme e regole con cui i singoli gruppi strutturano la loro cooperazione”. Sauer sottolinea poi il ruolo centrale svolto dalle istituzioni nel preservare le fragili acquisizioni morali.
Nel complesso il volume è interessante e non difficile per un lettore di media cultura. Esso permette di risparmiare la lettura di molti recenti volumi riguardanti la tematica dell’evoluzione culturale. Alcune osservazioni critiche s’impongono, tuttavia, alla fine del percorso. Nonostante il taglio “scientifico” e descrittivo, si parte pur sempre da una concezione dell’uomo (antropologia filosofica) e di quello che egli è chiamato ad essere (filosofia morale). Se si sottolinea la progressiva liberazione dell’individuo dai vincoli comunitari, non appare chiaro come impostare correttamente il tema individuo-comunità che oggi è nuovamente centrale. C’è differenza fra il piano della genesi della morale (come è sorta?) e quello della sua essenza (che cosa è?). Questo aspetto non pare essere sottolineato da Sauer.
Nel volume si accentua molto il fatto che le nozioni di bene e di male, come pure quelle degli dei e di Dio siano funzionali alla genesi e al consolidamento della morale, ma non altrettanto il fatto che vi sia un ambito di normatività e di sacralità che ha una sua autonomia rispetto alla sua genesi storica e alle occasioni che l’hanno fatto sorgere. Non abbiamo inventato le nozioni di bene, di male e di Dio solo perché ci servono socialmente, ma a un certo punto dello sviluppo storico siamo stati in grado di formarci autonomamente queste nozioni e le abbiamo utilizzate e rafforzate anche perché esse facilitavano la convivenza e l’ordine sociale. Tornando al titolo del volume, si potrebbe parlare più che di “invenzione” del bene e del male, della loro progressiva “scoperta”.
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