Non lo credevo possibile, eppure è accaduto, l’impensabile e il peggio sono storia. Dopo l’esecrazione e ogni tipo di postuma interpretazione dell’aggressione all’Ucraina – guardando i fatti dalla ionosfera per sfuggire al senso di impotenza e alla sofferenza che provo per il martirio di una popolazione inerme – scopro che la voce occidentale non è affatto la voce del mondo.



Intendo dire che “noi” esegeti e latori del principio di libertà, del diritto di autodeterminazione dei popoli, degli insindacabili valori dell’intera ecumene e di un solo pianeta, che ci riconosciamo eredi ad libitum della legittimità che sconfisse i totalitarismi del Novecento, noi occidentali, dicevo, dimentichiamo le troppe contraddizioni e ipocrisie in cui siamo incorsi dal Dopoguerra a oggi.



La nostra presunzione di bene e di giusto non è molto condivisa sulla terra, non l’abbiamo nemmeno attuata con l’integrità dovuta attraverso il nostro esempio.
La morale che dovrebbe presiedere quei princìpi è sempre sopravanzata dall’interesse, dalla priorità dell’economico e declamata urbi et orbi da una postazione privilegiata.

Gli interventi umanitari e il loro corredo di evangelizzazione profusi dalle Nazioni Unite e dalla Nato nei paesi in guerra (Iraq, Libano, Kosovo, Afghanistan…) non hanno affatto stabilizzato la pace, tanto che alcuni propongono di riesumare i princìpi della pace di Vestfalia (1648) che rispettava le diverse culture, religioni, stili di vita, cioè le differenze tra le genti che pure si ostinano a esistere come i sentimenti alla faccia dell’iper-sviluppo e dell’iper-consumo.



La democrazia, il fiore dell’Occidente, è il dono più grande per l’umanità, ma è idea ancora labile negli altri Paesi e da noi è via via sempre più tradita: la democrazia rappresentativa pare consunta per sfinitezza. Forse il trentennio d’oro della democrazia è stato possibile solo grazie all’antagonismo con l’“impero del male” sovietico. L’élite occidentale doveva contrapporre la bellezza del libero mercato, del consumo, dell’ipotetica autonomia delle idee eccetera all’offerta universalistica del materialismo dialettico attualizzata dal totalitarismo comunista.

Inoltre l’esempio dell’accelerazione produttiva della Cina alletta in segreto anche i sogni di qualche élite nostrana; insomma la legittimità della democrazia è posta in dubbio anche dal successo della cosiddetta democrazia autoritaria, dove il termine, democrazia, è solo un nom de plume della macchina sociale del dispotismo nell’ipnotica evocazione imperiale. Essa si alimenta del risentimento per la “grande umiliazione” patita in passato, soprattutto per mano occidentale.

Ma il risentimento non è solo in ogni altrove dell’Occidente, è anche al suo interno: nelle banlieue delle città francesi e inglesi, nelle enclavi turche in Germania, in ogni nostra città, spesso protetto da un’identità rivendicativa nell’ecumene islamica, tra gli afroamericani degli Stati Uniti, scandito da periodiche rivolte tanto violente quanto il sobbollire di un rancore razziale inemendabile.

Il risentimento attende invano una storicizzazione mondata da ipocrisie letterarie inclusive nelle facoltà umanistiche statunitensi e in quelle europee, sempre al loro seguito. Le nuove litanie del mea culpa (cancel culture, Black lives matter…) sembrano paradossalmente separare più che unire.

Il risentimento, molto spesso confuso con invidia, ammirazione e frustrazione, è l’implacabile risposta alla nostra incapacità di comprendere e rispettare le differenze storiche del mondo e soprattutto all’incapacità di tenere a bada la tentazione di approfittarne.

Sono i sentimenti che condizionano la storia e non solo le nostre vicende personali; sentimenti e sensazioni hanno sempre ragione – ci ricorda Rousseau – anche se non sanno di averla. Si può dire che i sentimenti fanno la storia, scandiscono i suoi incessanti cominciamenti, per questo le élite politiche sono ossessionante dal controllo delle informazioni e dalle reazioni dell’inconscio collettivo. L’ira del mito fu l’abbrivio della letteratura occidentale, l’orgoglio ferito di Lucrezia quello della libertà repubblicana romana.

Fiducia, affezione, pietà, odio, paura, collera e naturalmente risentimento sono oggi bilanciati con opportunismo. Governarli è la maestria della politica del consenso (la diffusione di bias cognitivi per stravolgere i processi decisionali più intimi, tutto con delicata quanto petulante insistenza e con l’avvedutezza di de La Boétie del Discorso sulla servitù volontaria! Cosicché a ognuno deve sembrare che i suoi giudizi siano dettati solo dalla propria libertà).

Ora però dobbiamo avvederci in tempo che, se isoliamo totalmente la Russia senza pensare una via di uscita per permetterle di ritornare sui suoi passi e fermare il massacro, quindi cercare a ogni costo l’avvio delle trattative di risoluzione del conflitto, di fatto isoliamo l’Occidente, mentendoci sul fatto che la Russia è isolata o condannata a esserlo per l’aggressione all’Ucraina (52 paesi, su 193, che rappresentano il 55,5% degli abitanti del pianeta non hanno aderito alla mozione dell’Onu di condanna della Russia).

È il risentimento del mondo che ci sta isolando. È la nuova voce degli altri che potrebbe ospitare in un unico pericolosissimo vincolo anche la Russia europea sempre più spinta tra le braccia della Cina. È il risentimento che sale dall’Africa, dal Medio Oriente, dal continente asiatico, dall’America del Sud. Proviamo a contare gli altri, a leggere ciò che dice la demografia.

La maggior parte della popolazione si trova fuori dal nostro limes e sta guardando con favore ai successi della Cina, che per ora non ha colonizzato né evangelizzato alcun luogo sulla terra, ad eccezione delle nevi del Tibet.

Sarebbe fatale per l’Occidente, e in particolare per il nostro Paese, se l’irrazionale del risentimento, come noto il miglior collante delle masse, si fondesse con il razionale di una risposta dei paesi produttori ed esportatori di energia “sporca”, cioè si aprisse un contenzioso con la strategia del grande reset della transizione energetica e tecnologica.

Proprio ora che gli altri sanno finalmente produrre e che dispongono di materie prime sotto i piedi, a noi resta l’energia “pulitissima” della finanza, che però guarda caso è la prima cosa che i venti di guerra spazzeranno via.

L’orientamento del capitalismo inclusivo e sostenibile è l’esatto opposto di ciò che vuole il resto del mondo: Russia, Cina, India, Arabia e paesi del Sud America rivendicano la priorità dello sviluppo a costi non proibitivi, ripercorrendo la via del benessere senza restrizioni già percorsa dall’Occidente. Il privilegio alleva il risentimento.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI