L’interesse per il Rinascimento italiano sembra riprendere nuova forza. Basti vedere le continue pubblicazioni sull’argomento (tra le altre Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’umanesimo, Einaudi 2019) che vedono nel Rinascimento un paradigma. Sulla natura e genesi del Rinascimento si sofferma, in particolare, Marco Pellegrini, Nella terra del genio: il Rinascimento, un fenomeno italiano (Salerno 2022). Ciò che colpisce, leggendo il volume, è sia l’insistenza sulla originalità del fenomeno del Rinascimento italiano del Quattrocento e del Cinquecento, soprattutto in campo artistico,  sia il fatto che esso non sarebbe per nulla comprensibile senza la molte rinascite medioevali che lo hanno preceduto e preparato.



Il Rinascimento è un fenomeno tipicamente italiano, ma che non si spiega senza risalire all’indietro nella storia, al riconoscimento lungo i secoli della  grandezza di Roma quale erede della Grecia classica, e ai continui tentativi di riprendere tale grandezza. In questo modo il Rinascimento viene contestualizzato e meglio compreso.



Il Medioevo, secondo Pellegrini, non fu affatto un’età oscura, in quanto ricco di continue rinascite (da quella carolingia a quella del XII secolo, a grandi autori come Dante Alighieri). Eppure esso apparve squallido e obsoleto a un gruppo di spiriti visionari e insoddisfatti, che nell’Italia del primo Quattrocento sentirono il bisogno di lasciarsi il passato alle spalle e inaugurare un’epoca di creatività senza precedenti. Tra gli anticipatori di questo fenomeno primeggia Francesco Petrarca. Sostenitori di una missione al tempo stesso culturale e civile, costoro non esitarono a buttare all’aria un intero assetto di valori, tradizioni e idee, giudicandolo al tramonto. “Ne derivò una condizione psicologica che diede ai protagonisti del Rinascimento la certezza di fare la cosa giusta, quando osarono contestare un certo paradigma di civiltà, tramandato dal passato recente, e ne abbracciarono un altro, desunto da un tempo anteriore che credettero in procinto di ricomparire. Al posto di una problematica accettazione del tradizionalismo medievale, subentrò un rapporto di familiarità con il mondo antico che diede luogo a una peculiare situazione di ‘contemporaneità del non contemporaneo’” (p. 27).



Fu grazie a questo atto di ribellione che prese vita il Rinascimento. Esso “appare dunque come una delle tante varianti di quel moto anti-inerziale che è proprio dello spirito innovatore di ogni tempo” (p. 32). La riduzione del Medioevo a idolo polemico permise all’avanguardia umanistica di rimodellare il rapporto tra presente e futuro con un margine di libertà estremamente ampio. Degna di nota a tal proposito la tesi di P.O. Kristeller (1905-1999), secondo la quale il bersaglio delle avanguardie umanistiche non fu il Medioevo in quanto tale, e neppure la cultura ecclesiastica, ma solo la Scolastica. O meglio, la Tarda Scolastica: ossia una certa corrente della cultura ufficiale che, dopo essersi imposta nel mondo universitario negli ultimi due secoli e aver egemonizzato gli istituti di alta formazione, fu improvvisamente percepita come arida e obsoleta. Ciò “diede luogo anzitutto a una spettacolare campagna di abbattimento di ciò che preesisteva. Un intero retaggio, quello medievale, fu virtualmente condannato alla sparizione, in quanto percepito come vetusto e di conseguenza giudicato ‘deforme’, dunque bisognoso di essere rifatto in bello” (p. 21).

Il panorama culturale nel frattempo si era arricchito di un nuovo apporto, rilevantissimo: il ritorno in Occidente del corpus di tutti i dialoghi di Platone, tornati a circolare dopo quasi un millennio di oblio. Il problema della creatività fu quindi affrontato da Marsilio Ficino secondo una nuova angolatura, tipicamente platonica: quella del desiderio senza misura che agita ogni essere umano e che porta alcuni individui eccezionali a lanciarsi in imprese straordinarie, che mostrano con eclatante fulgore il lato “divino” insito nella persona umana.

Nota Pellegrini che “innegabilmente, il Rinascimento come stato d’animo fu una derivazione dell’innatismo di derivazione platonica (secondo cui alcune ideali di perfezione sono innati in noi), una concezione da sempre catalizzatrice di prodigiosi effetti di risveglio della creatività umana” (p. 52). L’altissima produttività intellettuale ed estetica della mente rinascimentale fu sorretta dalla certezza che la perfezione è una meta che non si conquista, ma alla quale si fa ritorno.

Uno degli esiti di questo fenomeno fu il fatto che nell’Italia del Quattrocento, la rivoluzione umanistica, benché animata di spirito cristiano,  indebolì di fatto il predominio di una sola matrice della vita spirituale – la religione, che era sottoposta al controllo dell’autorità ecclesiastica – per abbracciare il principio della pluralità dei canali attraverso i quali è possibile pervenire alla Verità. Con il localizzare “il santuario dell’intelligenza creativa non nella Gerusalemme biblica, ma nella Roma di Cicerone e di Virgilio, il Rinascimento inoculò un rivoluzionario germe di laicità nella tradizione della cultura occidentale” (p. 31).

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