Sono pochi i romanzi di Georges Simenon scritti in forma di diario: Gli altri (Adelphi, 2023) è uno di questi; uscito nel 1962, inedito in Italia sino al 2021, venne allora incluso in Pedigree e altri romanzi, terza sezione delle Opere di Simenon in raccolta.
E, come sempre, senza la presenza del commissario Maigret, massiccio, rassicurante, pacato, il racconto assurge a vertici di raffinata crudeltà, generando nel lettore inquietudine e turbamento. Il teatro dell’azione, ma potremmo dire, di guerra (una guerra di posizione e di logoramento, durissima), è la famiglia: una famiglia dell’alta borghesia, assai in vista, uno dei cui membri, lo zio Antoine, muore alla vigilia di Ognissanti. Questo zio, Antoine Huet, di professione avvocato, era non soltanto ricchissimo e influente in città, ma era anche una figura molto conosciuta, a livello internazionale, tanto da venire consultato, spesso informalmente, da grandi industriali, diplomatici e uomini politici: “Se mio zio non aveva mai patrocinato una causa in Corte d’assise, e per questo era poco noto al grande pubblico, in compenso era un personaggio importante all’interno di un certo ambiente, quello in cui si trattano i grandi affari, non solo nazionali ma mondiali. Era un esperto di diritto internazionale e gli è stato proposto più volte di far parte della Corte di giustizia dell’Aia. Era essenzialmente un giurista, più che un avvocato, e le questioni di cui si occupava interessavano di rado i tribunali civili. Un paio di volte al mese prendeva l’aereo per Basilea, Milano, Londra o Amsterdam, e naturalmente Parigi, dove occupava sempre lo stesso appartamento in un albergo molto riservato della Rive Gauche”.
Questa parte della vita dello zio Antoine è però preclusa ai suoi nipoti, per i quali egli, soprattutto data la morte precoce del loro padre, suo fratello, è diventato il capofamiglia riconosciuto, colui al quale i nipoti si rivolgono, con borghese discrezione, nei momenti difficili. Ed è proprio allo zio Antoine che l’autore del diario, che costituisce la voce narrante del romanzo, deve il suo ruolo di professore di disegno presso la locale Accademia di belle arti: ma il nostro narratore è tutt’altro che un genio incompreso. Anzi: è un mediocre, per giunta dichiarato e serenamente consapevole di esserlo, e anche di vivere immerso in una quieta mediocrità: “Nonostante le generazioni di allievi che vi si sono succedute, da questa scuola non è uscito un solo pittore che valesse qualcosa. Alcuni hanno acquisito una certa fama in ambito locale, e in case come quella di mio zio si trovano tele dei più anziani. Altri sono andati a Parigi e hanno esposto una o due volte al Salone d’autunno prima di sprofondare nell’anonimato”.
E poi c’è Macherin, ospite fisso a cena a casa del narratore e di sua moglie Irene. Macherin è un uomo d’affari: un uomo che, in ambito lavorativo, fa tremare dipendenti e collaboratori, ma che, al contrario, a tavola si dimostra un buongustaio vorace e gioviale. Ma c’è un piccolo particolare: Macherin non è un amico di famiglia; è l’amante di Irene. Molti non comprendono, anzi, nessuno comprende, e la vox populi si limiterebbe a vedere nel narratore l’eterna figura da commedia del “cornuto contento”: ma le cose non stanno proprio in questi termini, e sono decisamente più complicate, sfuggenti, quasi indefinibili. Come sempre, nei romanzi di Simenon, è tutta questione di sfumature, e nelle sfumature c’è un intero mondo.
E c’è un problema non da poco: lo zio Antoine probabilmente non è stato ucciso da un attacco di cuore (tutta la famiglia Huet, nel ramo maschile, soffre di un vizio cardiaco congenito), ma è morto avvelenato; anzi, per la precisione, si sarebbe avvelenato. Possibile? Lui? Un uomo di successo, ricco, conosciuto negli ambienti che contano, può arrivare ad avvelenarsi? E che ruolo ha avuto nella morte di Antoine Huet sua moglie Colette?
Anche il matrimonio di Antoine e Colette, in effetti, sembra reggersi su alchimie tanto misteriose da essere imperscrutabili: la donna, infatti, è quanto di più lontano dallo stereotipo della brava moglie alto-borghese, perfetta padrona di casa e splendida anfitriona. Al contrario, è spesso accaduto che, magari nel bel mezzo di una cena importante, sotto gli occhi di una dozzina di invitati, Colette si alzasse da tavola e salisse, senza una parola, nella sua camera, senza farsi più vedere per tutta la serata. La donna, decisamente irrequieta, non solo non è mai stata fedele allo zio Antoine, ma è anche adusa a comportamenti assai poco convenienti: una volta, addirittura, Colette era scappata da casa, ed era stata ritrovata, dopo tre o quattro giorni, sola e malridotta in una squallida stanza d’albergo dove era andata con uno sconosciuto. Il quale, fra l’altro, dopo la seconda nottata “aveva tagliato la corda portandosi via la sua borsetta, i suoi gioielli e la sua pelliccia”.
Fra l’altro, sarà che Antoine Huet è molto più anziano di Colette (di ben trentun anni!), sarà che non ha voglia di mondanità e uscite serali, ma la giovane consorte del grande giurista, per svagarsi, spesso la sera esce con Jean Floriau, brillante medico di belle speranze, nonché marito di Monique, la cugina del narratore; e così era stato anche la sera in cui lo zio Antoine era morto.
Come in tanti romans durs, anche ne Gli altri Simenon non si libera dello spettro del delitto e dell’indagine: ma anche qui, come in molti altri libri usciti dalla penna del geniale autore belga, al centro dell’indagine – che non ha per forza di cose una conclusione univoca – c’è la famiglia, con il suo groviglio di rapporti, con le sue alleanze e ostilità taciute, e con la presentazione (tratto di cui Simenon sembra compiacersi in sommo grado) di matrimoni talmente complicati da reggersi, ognuno in modo diverso, su alchimie per descrivere le quali a volte la lingua non ha nemmeno le sfumature espressive sufficienti.
E così, la visione della vita che Simenon ci trasmette è quella di una eterna ripetizione delle stesse dinamiche, spesso stagnanti, dalla quale non ci si può spesso sottrarre, e per le quali la cosa più saggia è, a volte, scegliere di farsi osservatore spassionato della propria stessa esistenza.
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