Può un convegno giuridico, su un tema ben circoscritto, “L’Università di Napoli e l’istituzione della prima cattedra di Diritto Ecclesiastico nell’Italia post-unitaria”, dare più o meno imprevedibilmente indicazioni, metodi e spunti di strategica attualità generale? La risposta affermativa non è un assioma, bensì un risultato.
I lavori introdotti dalla professoressa Maria d’Arienzo (proprio dell’ateneo federiciano) in effetti prendevano le mosse dal profilo di un grande giurista, Francesco Scaduto (1858-1942), che ha segnato, insieme al sostanzialmente congenerazionale Francesco Ruffini (1863-1934), la nascita e il divenire di una materia della scienza giuridica italiana: il diritto ecclesiastico. L’uno e l’altro in tensione lungo una batteria di direttrici assai significativa nell’Italia alla seconda metà del XIX secolo: Scaduto di Bagheria, siciliano, meridionale, e Ruffini di Lessolo, piemontese, segnatamente torinese (anche per il clima culturale che anima all’epoca Torino). Non solo: il primo per la fase più nota della sua ricerca essenzialmente un giurisdizionalista; il secondo un separatista. Scaduto convinto che spettasse allo Stato normare il fenomeno religioso (anche se spesso utilizzava pure il più pregnante verbo “vigilare”). Ruffini legato alla separazione netta tra Stati e Chiese. E però: il maestro di Bagheria era certo che la cornice giuridica statuale fosse idonea a preservare l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose; il cattedratico piemontese sicuro invece che non si potesse non tenere conto dei singoli dati materiali (radicamento, demografia, storia), per addivenire a una legislazione accettabile sulla stessa materia.
Questa corsa parallela ha poi dei singolari ribaltamenti. Scaduto era di formazione anticlericale, non ostile all’istituto giuridico del divorzio, che sembrava di immediata introduzione nell’Italia post-unitaria e che invece occorrerà il 1970 per vedere legiferato. Ciononostante, quando i Patti Lateranensi giungono a stipulazione prima e a ratifica poi, sancendo l’efficacia giuridica civile del matrimonio concordatario, se ne fa assertore e difensore sulla base di un argomento estremamente fattuale: le relazioni tra Stato e Chiesa, dopo guasti e meriti, meriti e guasti, della stagione liberale, vanno nel senso di una loro “riconfessionalizzazione”.
Ruffini, diversamente, non solo antifascista rimase persino nelle condotte accademiche (rifiutò il giuramento di fedeltà al regime), ma sui Patti del Laterano in quanto tali aveva perplessità di natura giuridica oltre che sostanziale. L’appuntamento scientifico ha chiarito questi aspetti, dando conto di una polifonia di voci nella quale i due studiosi più noti sono stati i classici di riferimento, non certo le uniche sensibilità di cui si è riportata l’opinione e la voce.
Se si trattasse tuttavia di un confronto tra le molteplici ipotesi regolative che si ebbero nei tre momenti cruciali della storia contemporanea dell’Italia – unificazione, fascismo, costituente – il tema avrebbe centrale dignità di analisi giuridica, ma ridotte possibilità di entrare in contatto con le esigenze odierne. Si tornerebbe a trattare della perdita del potere temporale della Chiesa e del liberalismo politico come temi che resero i Pontefici avversari dell’unità d’Italia sardo-piemontese. Si dovrebbe convenire che la scelta mussoliniana della Conciliazione rispose a una precisa strategia politica – giacché il primissimo fascismo era futurista, massimalista, sansepolcrista, anticlericale. E si dovrebbe con imbarazzo ammettere che tanti giuristi (da Salvatore Satta ad Arturo Carlo Jemolo: morale simile, ma scelte politiche assai diverse) ebbero una qualche ragione a trovare la Costituzione un documento che si sarebbe prestato agli abusi attuativi (e distorsivi) di un ceto politico interessato ad approfittare delle sue indeterminatezze.
Ci sembra però che la posta in gioco sia stata piuttosto quella di ricentralizzare il tema e il significato di una scienza per definizione liminare: posta al confine di tante “terre del sapere” e perciò inevitabilmente duttile, relazionale, mediana, immediatamente capace di cogliere le domande di riconoscimento degli esclusi e le istanze di coesione che pure ogni status quo asserisce di garantire. Ed è forse in questa sempiterna dialettica (partecipazione-prevenzione; istituzione oggettiva ed esercizio dei diritti soggettivi; trasformazione-tradizione; normazione puntuale e regolazione per princìpi) che sta la vera attualità. Militare una scienza percorrendo le sfide che coglie, senza mai rifiutare.
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