Un viaggio alla scoperta del senso della vita, del rinvenimento di una verità esistenziale che non può essere programmata, immaginata, fabbricata… ma accade. È accaduta nel tempo, ma oltre il tempo, incurante del suo scorrere proprio secondo l’intendimento dei salmi recitati dal popolo ebraico: “Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri appena trascorso”. È questa la percezione decisiva leggendo il dettagliato e intenso resoconto del viaggio in Terrasanta guidato nel settembre 1986 da don Luigi Giussani e raccontato da Luigi Amicone nel libro Sulle tracce di Cristo pubblicato da Bur Rizzoli per la prima volta nel 1994 e oggi riproposto in una nuova edizione con la prefazione del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini.



Impressiona la drammaticità di un contesto, allora come oggi, segnato da un conflitto esasperato e insanabile che affiora in brevi cenni dell’autore testimone anche in altre occasioni, da giornalista e inviato, di tensioni esacerbate fra i due fronti israeliano e palestinese, fra due popoli dai destini intrecciati, costantemente sull’orlo di una sfida comune di fronte a un bivio radicale fra l’annientamento di una guerra totale e l’inestinguibile desiderio di una nuova epoca di pace. Impossibile, come suggerisce l’autore, visitare i luoghi dove “il nervo scoperto del mondo” pulsa di atroce dolore, restando totalmente indifferenti ed estranei a una tragedia che riguarda l’umanità di ognuno, scossa da sgomento e da mille interrogativi.



Del resto tutta l’attenzione, tutto il desiderio di vedere e contemplare i luoghi dove le tracce di Cristo appaiono reali e fortemente suggestive, sembrano sollecitare una novità di sguardo sulla propria esistenza e sul modo di accostare ogni esperienza. “Si conosce solo ciò che si ama – avverte l’autore nella nota introduttiva –. È quanto ci testimonia, ancora una volta, in queste pagine Luigi Giussani, un uomo che, prima di tutto, ci ha insegnato a essere uomini, cioè a stare di fronte al proprio Destino con realismo, lealtà e razionalità”. Una notazione che rende comprensibile come ogni tragitto, ogni esplorazione e nuova acquisizione, lungo il viaggio diventa una provocazione per la vita, induce all’immedesimazione in una storia nota eppure sorprendente per il riverbero che provoca nel presente.



La visita a Nazareth, “dove tutto ha avuto inizio”, è certamente fra i momenti più carichi di commozione: proprio lì, dopo lunghi anni di indagini e scavi, il grande archeologo Bellarmino Bagatti, fra i miseri tuguri tutti uguali ricavati nel calcare, scoprì quello che secondo la tradizione era la casa di Maria che nel tempo era stata trasformata in santuario. Come aveva raccontato lui stesso in una testimonianza raccolta da Vittorio Messori, su un intonaco comparve “un graffito emozionante, in greco: Kàire Maria, Ave Maria. La prima testimonianza in assoluto della devozione a Maria… Era la prova della verità della tradizione che sempre lì aveva additato il luogo dell’Annunciazione. Ma era anche la prova che la devozione a Maria, l’invocazione a lei, nascono con il cristianesimo stesso”.

La “prova”, un segno tangibile che diventa testimonianza immediata e carica di stupore, ma anche riconoscimento di un fatto, consapevolezza di una memoria che vibra in ogni istante: per questo ogni giorno, prima di ogni nuova trasferta, inizia con la preghiera comune. “L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria…”. Quelle parole eterne, quel dialogo misterioso che ha cambiato la storia, continuano a riecheggiare dopo molti secoli: “E il Verbo si è fatto carne… E abita in mezzo a noi” ripetono i pellegrini in un contesto dove il Mistero, incontrabile in un avvenimento prima che in un’immaginazione umana, suscita particolare attrattiva, forse nuovi interrogativi.

“Nulla è impossibile a Dio. Questa è l’espressione positiva del nostro riconoscimento del Mistero” commenta don Giussani dopo la preghiera alla grotta dell’Annunciazione. “Tutti domandano a Dio, ma con una domanda che non può essere formulata se non secondo una propria immagine. Per la Madonna invece è stato diverso… Quella di Maria non era solo una domanda, cioè una richiesta, ma un’attesa” ha precisato parlando dell’umiltà di Maria, “che è coscienza della propria povertà assoluta, e nello stesso tempo sicurezza gioiosa, lieta che “è Dio che compie”… È attraverso l’incontro che il Signore dimostra quale sia la sua sapienza e il suo disegno. Così è stato per la Madonna l’annuncio. E così è per noi”.

Nessuno pare rimanere semplicemente spettatore lungo i percorsi che portano segni incancellabili e rivelatori della Presenza di Dio nella storia: da Cesarea Marittima a Nazareth, Cana, Betlemme, ai paesi lungo le rive del lago di Tiberiade, da Nablus a Gerico, dal villaggio di Cafarnao a Gerusalemme… ogni scorcio, ogni reperto, ogni parola sembrano svelare qualcosa di imprevedibile e promettente per il cammino dell’uomo. A volte sono le stesse scoperte archeologiche a risvegliare nuove e decisive percezioni, come di fronte alla scoperta dei bimillenari resti della città e della casa di Pietro dove affiora la commossa certezza che le pietre venute alla luce dopo anni di lavoro, sono “le pietre dove ha camminato Lui, il Maestro”. E come accade nell’esperienza di compagnia continuamente ravvivata dai dialoghi suscitati dalle riflessioni di don Giussani, tese a cogliere il fatto originale del cristianesimo concepito come avvenimento.

“Ogni giorno siamo investiti da notizia sempre più tragiche e da analisi sempre più disperanti; sembra che non ci sia via d’uscita, che la pace sia impossibile” nota il cardinale Pizzaballa nella prefazione. E anche noi cristiani possiamo cedere a questo clima e perdere la speranza. Anche noi possiamo diventare come i discepoli di Emmaus, con i quali don Giussani invita a immedesimarci: “Noi camminiamo come cristiani tristi. La tristezza non viene dalla prova e dal dolore, la tristezza viene sempre dall’assenza di significato o dalla fragilità della ragione… In fondo la tristezza nasce da un’ultima scetticità”.

L’avventura umana e spirituale delineata “sulle tracce di Cristo” ripropone in effetti una grande domanda, oggi dimenticata o persino censurata: “Il vero dramma dell’uomo – afferma don Giussani in una delle conversazioni – è proprio questo: se la salvezza debba venire dalle sue mani, o se la salvezza viene da un Altro”. Un interrogativo posto nel 1986, oggi non solo attuale, ma decisivo per ritrovare la speranza

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