Una forma di santità contemporanea quella di Takashi Paolo Nagai, medico giapponese morto nel 1951 per una leucemia contratta in servizio (era radiologo) e di sua moglie Midori deceduta il 9 agosto 1945 insieme ad altre 80mila persone nel bombardamento atomico di Nagasaki che pose fine di fatto alla seconda guerra mondiale.
Una vita quella di Paolo, ribattezzato così dopo la conversione dallo shintoismo alla fede cristiana, vissuta tra difficoltà estreme, rovesci economici, sconfitte professionali, malattie e culminata con la perdita dell’amata consorte nel corso dell’evento più tragico del XX secolo e forse della storia umana. Ma una vita percorsa anche da grandi passioni, conversioni clamorose, riconoscimenti pubblici inaspettati anche se tardivi. Un’esistenza piena quella di Takashi, intrisa di quella religiosità estrema tipica della piccola e coraggiosa comunità cristiana giapponese che dopo la prima predicazione di san Francesco Saverio patì quasi tre secoli di persecuzioni feroci da parte del potere costituito, preoccupato per il possibile inquinamento della cultura civile nipponica portato da una religione “straniera”.
“Offrire la vita per accogliere ed esprimere l’amore di Cristo – scrive padre Lepori nella sua prefazione all’autobiografia di Takashi, Ciò che non muore mai. Il cammino di un uomo (San Paolo, 2023) diventa il senso che Nagai cerca e accoglie per la sua esistenza, fino al culmine di queste pagine e di questa vita, quando di fronte alle ceneri di tutto, all’apparente fallimento totale della sua vita che la bomba atomica viene a suggellare, gli è data la coscienza chiara e consolante che è questo amore che Cristo aveva donato e rivelato al mondo, “la vita che ama Dio ed è amata da Dio” (p. 303), la realtà che non muore mai e sola può dar senso all’esistenza, anche quando tutto grida che il senso della vita non c’è”.
Di Takashi Paolo Nagai e sua moglie Midori si è parlato molto in questi ultimi anni a partire dalla bella mostra Annuncio da Nagasaki a cura di Paola Marenco, Gabriele Di Comite, Massimo Morelli, Alberto e Giorgio Bordin, proposta nell’edizione del 2019 del Meeting di Rimini. Da quell’evento culturale dal successo inaspettato e travolgente (oltre 15mila presenze) è nata l’associazione “Amici di Takashi Midori e Nagai” che ha per scopo, recita lo statuto, “quello di far conoscere l’eccezionalità della fede, speranza e carità di Takashi Paolo Nagai e di sua moglie Midori fino alla collaborazione all’eventuale causa di beatificazione e canonizzazione che la Chiesa volesse considerare”. Un segno di speranza e di rinascita e anche di amicizia operativa tra popoli così distanti non solo geograficamente.
Nonostante la storia dei due sposi cristiani di Nagasaki fosse ampiamente conosciuta, l’incontro di ieri al Meeting con padre Mauro-Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense, ha offerto alle migliaia di partecipanti nuovi spunti di riflessione per approfondire questa straordinaria storia di amicizia con Dio e con gli uomini.
“È l’olocausto atomico – ha detto il padre cistercense ben conosciuto e amato dal popolo del Meeting – che segna per sempre la vita di Takashi. In quel silenzio spettrale e in quella distesa di polvere bianca e radioattiva, egli rintraccia i segni del sacrificio di Cristo. Dice infatti il medico giapponese nella sua autobiografia: ‘Come Cristo ha immolato se stesso per salvare il mondo, così il sacrificio di Nagasaki e in essa della sua piccola comunità cristiana è stato offerto a Dio per far cessare la guerra’”. Cosa che in effetti avvenne solo sei giorni dopo lo sgancio della bomba quando l’imperatore Hirohito con uno storico radiomessaggio annunciò la fine delle ostilità.
Takashi mette a disposizione le sue competenze mediche per aiutare i sopravvissuti, si spende fino alla consumazione di sé. Rimasto solo e senza casa, vive gli ultimi anni in una capanna di legno, immobilizzato e debilitato dalla leucemia contratta a seguito dell’esposizione alle radiazioni ma sempre all’opera per lenire le sofferenze dei suoi concittadini. “Ma – sottolinea padre Lepori – l’attivismo non è la risposta. La vera risposta è offrire al mondo l’Amore che ci ha preso e che non muore mai, l’Amore di Cristo. Solo a partire da questo di può ricostruire un popolo, una città, un Paese”. E Takashi fino alla morte avvenuta nel 1951 diventa un punto di riferimento per tutto il Giappone. Lui, cristiano e appartenente a una minoranza insignificante e per secoli perseguitata e disprezzata, diventa il profeta della ricostruzione di un Paese distrutto.
Ma le parole più commosse e toccanti il monaco Lepori le riserva a Midori, la moglie di Takashi morta nel bombardamento atomico. “Il ruolo di Midori nella vita di Takashi è paragonabile a quello dello Spirito Santo nella Trinità. Questa giovane donna si fa strumento dell’Amore di Dio, è per il marito l’amicizia di Dio che si fa carne, che si rende quotidiano”. Citando un santo cistercense del XII secolo, sant’Aelredo di Rievaulx autore di un trattato su L’amicizia spirituale, Lepori si spinge a dire: “Dio è Egli stesso amicizia”.
Cosa ci insegna questa storia così estrema di martirio e redenzione, di dolore e di gioia? L’umanità è autrice di delitti orribili, si può spingere fino alla negazione di ogni principio etico e perfino all’autodistruzione, ma è pure sorprendentemente capace di coltivare la speranza, l’amicizia gratuita, la compassione quando riconosce che l’origine di sé non è in sé ma in un Mistero che ci precede e che per i cristiani come Takashi e Midori ha preso il volto di Cristo. Durante i lunghi secoli di persecuzione patita dai cristiani giapponesi, si chiedeva loro di abiurare calpestando con un piede una tavoletta di creta su cui era rappresentato il volto di Cristo. Molti di essi preferirono la morte a questo gesto perché non avrebbero potuto vivere senza quello sguardo su di loro. Ma anche i tanti che per paura, o calcolo o fragilità cedettero, non rinunciarono mai del tutto a quell’amicizia spirituale che paradossalmente sarebbe rinata secoli dopo sulle ceneri radioattive di Hiroshima e Nagasaki. Questa certezza indistruttibile valga anche oggi a darci forza in tempi tornati cupi e violenti.
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