“In una piccola capanna nel mezzo della landa atomica spazzata dal vento, con due bambini piccoli tra le braccia e il corpo che non può più muovere come vorrebbe, ora conduce la sua vita nel fulgore”. È la conclusione imprevedibile e luminosa dell’autobiografia di Takashi Paolo Nagai, il medico radiologo vissuto a Nagasaki dal 1928 al 1951 e presente nella città martire alle ore 11 e 2 minuti del 9 agosto 1945, quando esplose la seconda bomba atomica lanciata sul Giappone.
Il titolo di quell’autobiografia, raccontata in terza persona come da tradizione giapponese, è Ciò che non muore mai. Il cammino di un uomo, recentemente pubblicata dalle Edizioni San Paolo, mentre, il Sussidiario il 22 febbraio scorso ha anticipato la diffusione di un estratto della splendida prefazione curata da padre Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense. Ma è lo stesso Nagai a rispondere alla domanda, istintiva e immediata per il lettore, su cosa gli ha consentito di condurre “la sua vita nel fulgore”, dentro la “landa atomica” e dentro un “corpo che non si può più muovere”, situazione esistenziale peraltro documentata nel libro da fotografie bellissime e insieme terribili, immagini di proprietà del Museo della Memoria a lui dedicato a Nagasaki.
Alla domanda del lettore, Takashi risponde nel capitolo dedicato alla leucemia mieloide cronica, contratta a causa della sovraesposizione ai raggi X per anni e anni, nell’intento di fare diagnosi corrette a decine di migliaia di pazienti, con i mezzi disponibili allora, in tempo di guerra. E risponde ripensando al suo difficile passato, che lo aveva visto colpito dalla sordità alla vigilia della laurea in medicina, coinvolto come medico negli ospedali da campo per ben sei anni sui fronti delle due guerre in Manciuria, nel Nordest dell’attuale Cina. Ma ancor prima era stato prossimo alla morte a causa di uno shock anafilattico che lo portò a contrarre un’asma cronica, sempre pronta a manifestarsi in maniera invalidante. Eppoi, due figlie morte in tenera età, ma anche bombardamenti su Nagasaki seguiti all’attacco a Pearl Harbor e un pesante carico lavorativo che lo vedeva vivere praticamente in ospedale, carico peraltro incrementato da responsabilità nella comunità civile.
Eppure, proprio ripensando al suo difficile passato, Takashi Paolo (il secondo nome, assunto al battesimo nel 1934, rimanda a san Paolo Miki, martire giapponese) “si chiese come avesse fatto a resistere fino a quel punto con le sue misere forze. Qual era stata la vera sorgente della sua forza?”. Si rispose che “non sarebbe mai stato possibile senza la mia fede cattolica. Non c’è dubbio che sia la forza di Dio. Io sono per natura impotente. Sono solo uno strumento nelle mani di Dio. Uno strumento non può fare niente da solo”. Infatti, dalla tradizionale religiosità giapponese e dal successivo materialismo scientifico acquisito nel corso degli studi, nel 1934, a 26 anni, Nagai si era convertito al cristianesimo attraverso l’incontro con la numerosa comunità che a Nagasaki era costituita dagli eredi dei cosiddetti cristiani nascosti, vittime a decine di migliaia delle terribili persecuzioni succedutesi in Giappone per quasi 300 anni, dal XVI al XIX secolo.
Sempre nel 1934 Paolo sposò Midori Moriyama, unica erede di una famiglia di cristiani nascosti, con la quale oggi condivide il percorso della causa di beatificazione promossa dal Comitato Amici di Takashi e Midori Nagai, che all’indirizzo amicinagai.com ha reso disponibile una ricca documentazione, in continua implementazione. Del resto, si è da poco concluso un partecipato pellegrinaggio internazionale in Giappone sulle orme di quei due coniugi, organizzato da Russia Cristiana insieme al menzionato Comitato. Inoltre, il 3 giugno 2023, la settimana per la pace promossa dalle Nazioni Unite alla Sophia University Tokyo si è aperta con un simposio internazionale dal titolo “Pace da Nagasaki al mondo, messaggio del dr. Takashi Nagai, sopravvissuto alla bomba atomica e della sua sposa Midori”, che ha visto come relatori Gabriele di Comite e Paola Marenco, rispettivamente presidente e vicepresidente del Comitato.
Ma, tra l’altro, l’autobiografia Ciò che non muore mai. Il cammino di un uomo è di grande attualità, perché pone in luce alcune caratteristiche comuni anche alle guerre di oggi, come ad esempio la totale censura che i Paesi in conflitto operano sistematicamente sul numero delle vittime militari nei combattimenti, sul numero dei feriti, delle persone mutilate, sugli orrori dei corpi distrutti, smembrati o menomati per sempre dalle esplosioni.
Nel Giappone di allora, come certamente fanno anche oggi i Paesi in conflitto, ai militari rientranti dal fronte e dai combattimenti era fatto divieto di raccontare ciò che avevano visto e la consistenza numerica delle vittime e dei feriti. Un’altra tra le evidenze di tutti i conflitti armati, sottolineata dall’autobiografia di Takashi Paolo Nagai, è il solco abissale che si approfondisce continuamente tra i pochi entusiasti sostenitori, arricchiti promuovendo la guerra, seppur definita come operazione speciale, e i moltissimi che ne rimangono vittime, che restano distrutti o menomati per sempre nel corpo, negli affetti e anche, in maniera significativa, nel patrimonio e nei beni materiali.
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