Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un’anticipazione della prefazione all’autobiografia di Takashi Paolo Nagai (1908-1951), medico giapponese convertito al cristianesimo, sopravvissuto alla bomba atomica di Nagasaki e ora sulla via della beatificazione (Ciò che non muore mai. Il cammino di un uomo, San Paolo, 2023).



La lettura dell’autobiografia di Takashi Paolo Nagai è un viaggio guidato lungo il percorso turbolento di una vita in cui il dramma umano di una persona viene ad intessersi con il dramma di tutta l’umanità. È Nagai stesso che allude alla metafora della vita come tessuto in un verso poetico che scrive in piena guerra sino-giapponese, mentre condivide un frutto con un giovane soldato nemico fatto prigioniero: “Sono vivo – penso – seduto all’ombra di un fortino,/ mentre sbuccio un pomelo. Sono ancora vivo, oggi,/ e penso che è preziosa la trama della vita” (p. 219).



Il faccia a faccia, con il volto umano di chi in guerra è definito nemico, fino a riconoscere l’eccezionalità del suo sorriso – “Non aveva mai visto in vita sua un sorriso d’amore così profondo” – gli ricorda quanto è preziosa la trama della sua vita, e della vita di ogni uomo.

La trama della vita svela il Mistero che la tesse. L’uomo attento e intento scopre sempre più che il Mistero è il Tessitore della sua vita. Scopre che la coscienza della trama della vita è la vera conoscenza di sé, la giusta coscienza dell’io che, nel dipanarsi del suo esistere, si scopre sempre più “tessuto” da un Altro, da un Tessitore misterioso che riesce a continuare la sua opera e a portarla a compimento anche quando i fili si spezzano, vengono tagliati da forze esterne o bruciati da un nemico che sembra sempre all’opera per contrastare la tessitura di un’esistenza voluta dal Mistero.



Il tessuto di una vita esprime la verità di una persona esprimendo Colui che la tesse, Colui che la fa. La trama di ogni vita è di un’assoluta originalità, perché è il Tessitore che costantemente la crea, con un progetto eterno che non vuol dire che tutto è determinato in anticipo e poi si svolge come lo può realizzare una macchina programmata. Dio tesse avendo in mente e in cuore un disegno di pienezza, un compimento, ma la tessitura è un atto di creatività costante, che sempre tocca, che sempre tiene o riprende in mano i fili di un’esistenza. La tessitura è una creatività in cui l’autore è sempre all’erta, sempre riconsidera che disegno può realizzare con i fili che ha, così come sono o diventano, nel bene e nel male. Il tessitore vuole realizzare un’opera bella, utile, buona, compiuta. Ma per compiere il suo disegno di bene e di bellezza deve sempre fare i conti con la realtà di un cuore che ha voluto libero. Dio, donando all’uomo la libertà, ha preso il rischio di sottoporsi ad una sfida costante: riuscire a tessere un’opera bella e buona con fili che sceglieranno di spezzarsi, di rovinarsi, o che saranno danneggiati da altre libertà. Dal peccato originale in poi Dio ha raccolto la sfida di dare compimento alla vita dell’uomo tessendone la trama sempre e comunque, con tutto ciò che l’uomo sceglie o non sceglie, anche contro il suo Creatore.

Dio sembra perdere costantemente la sfida di riuscire a tessere una vita compiuta. Satana danneggia e taglia tutti i fili della vita di Giobbe, finora così ben tessuta. Cosa potrà fare il Tessitore supremo con tutti questi fili tagliati? Ma c’è un filo che, anche se spezzato, resta nelle mani del Tessitore: la fedeltà di Giobbe, l’affidamento di un uomo che pur solo e abbandonato, giacendo sul letame, coperto di piaghe, riconosce la bontà ultima della dipendenza dal Mistero, riconosce che solo un Altro può e sa ritessere sempre di nuovo un’esistenza nel suo essere tesa a un compimento che non è solo il risultato di tante piccole fedeltà annodate regolarmente le une alle altre, ma dell’attaccamento al Tessitore che la fa. Nagai imparò e visse fino alle estreme conseguenze questa posizione umana, la capì contemplando la trama della sua esistenza, sempre spezzata, e sempre ricomposta da Dio, più bella, più vera, buona e utile.

Takashi Nagai ha letto con stupore crescente l’opera indefessa di Dio al telaio della sua vita e della vita degli altri. Uno stupore che tutto tentava di deludere e di spegnere. Perché ogni volta che un disegno importante sembrava descrivere tutta la sua vita e vocazione, arrivava il momento in cui tutto veniva distrutto e il disegno accennato veniva cancellato. Al culmine dei suoi studi di medicina, un’otite contratta per superficiale imprudenza gli toglie per sempre la possibilità di esercitare l’arte medica usando lo stetoscopio. Poi la guerra in Manciuria sembrerà interrompere il progetto di matrimonio con Midori. Poi, mentre diventa un affermato professore di radiologia, un’iniezione per una banale influenza amministrata imprudentemente da un collega, oltre a portarlo sull’orlo della morte, lo renderà asmatico per sempre. Le pagine in cui Nagai descrive le crisi di asma sono un capolavoro sulla tragedia dell’esistenza umana, che non smette di anelare alla vita anche quando tutto la soffoca. Poi la Seconda guerra sino-giapponese, dettagliatamente descritta, lo allontanerà per quattro anni dalla famiglia e dal lavoro. Poi apparirà la leucemia a dargli solo tre anni di vita, ma questa piaga non avrà avuto il tempo di affacciarsi che arriverà il colpo di grazia, la bomba atomica, a togliergli tutto, a cominciare da sua moglie, portandolo sull’orlo di una “disperazione totale” (p. 302).

Che tutte queste prove potessero essere superate, Nagai non lo vide mai come il frutto della sua forza d’animo, della sua fede o delle sue capacità. Sempre, in fondo, si ritrovò con stupore a scoprire e riscoprire che il Tessitore continuava instancabile a tessere la sua vita, teso a un compimento sempre più profondo e alto, quello di un amore che vince la morte e tutto il male che l’umanità possa commettere o subire.

Come avviene questa vittoria? Come può vincere l’amore quando tutto sembra sconfitto dal potere dell’odio? Meditando su queste pagine di Nagai proprio nei giorni in cui una guerra crudele, che mina la pace del mondo intero, una guerra che credevamo impensabile, ha preso inizio in Ucraina, ho capito quanto è urgente accogliere la profezia della vita di Takashi Paolo Nagai, perché non è solo una profezia che annuncia e esige la pace come valore, ma una profezia che la vive, la soffre, e quindi l’accoglie per tutti nell’unico alveo che rende l’umanità capace di un bene che supera l’umana capacità: l’offerta e il sacrificio di una vita.

L’umanità non può trovar pace se non accogliendo un amore impossibile all’uomo, un amore che solo Dio ha, un Amore che solo Dio è. Nagai ha cercato questo amore impossibile durante il corso di tutta la sua vita, e ha espresso questo desiderio profondo, essenziale, del suo cuore, del nostro cuore, in tutte le dimensioni dell’umana avventura: gli affetti, la religiosità, lo studio, il lavoro, l’appartenenza ad un popolo, ad una cultura che incontra altri popoli e altre culture, l’esperienza del male, del dolore, della malattia, della guerra, ma anche del bene, del perdono, dell’amicizia. In tutto scopriva le tracce di un amore infinito, voluto e rifiutato, accolto e ferito, eppure sempre offerto, invincibile nel suo donarsi.

Come è commovente il racconto dei riflessi luminosi di questo amore infinito nei momenti e gesti di gratuità che Nagai descrive, sempre con sorpresa, anche e soprattutto in mezzo alle tenebre della guerra. Nagai scopre che ciò che vince la guerra, la divisione e l’odio, non è mai la forza che si oppone alla forza contraria, ma la follia di gesti gratuiti, di bellezza e bontà, di verità e dolcezza, proprio là dove sembrano assurdi. Come quando nell’urgenza estrema di un ospedale da campo improvvisato, pieno di feriti, in una casa cinese costantemente colpita dal fuoco nemico, i suoi compagni decidono di tener in vita e alimentare i bachi da seta affinché chi tornerà in questa casa li ritrovi nutriti e pronti a produrre. Oppure i suoi compagni di guerra e di cure mediche sul campo che, vedendo che non può masticare, rischiano la vita per trovargli del miele o portargli un porridge di riso. In tutto, Nagai scopre, in mezzo al fango, semi dell’amore più grande, quello che dà la vita per i propri amici (cfr. Gv 15,13), quello che, dando la vita, trasforma i nemici in amici.

Offrire la vita per accogliere ed esprimere questo amore diventa vieppiù il senso che Nagai cerca e accoglie per la sua esistenza, fino al culmine di queste pagine e di questa vita, quando di fronte alle ceneri di tutto, all’apparente fallimento totale della sua vita che la bomba atomica viene a suggellare, gli è data la coscienza chiara e consolante che è questo amore che Cristo aveva donato e rivelato al mondo, “la vita che ama Dio ed è amata da Dio” (p. 303), la realtà che non muore mai e sola può dar senso all’esistenza, anche quando tutto grida che il senso della vita non c’è.

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