C’è un punto al quale si cerca di ricondurre l’apice della gioia e quello del dolore. E c’è un libro che suggerisce che il cammino che accompagna verso quel punto va vissuto con pienezza, in tutti i suoi tratti di luce e di ombra.
Questo libro si intitola Il richiamo del K2. La dura lezione della montagna (Rizzoli, 2021) e la sua autrice è l’alpinista altoatesina Tamara Lunger, 35 anni, seconda donna italiana a raggiungere la vetta della seconda cima per altezza del pianeta (8611 metri) nel 2014.
Esattamente un anno fa si consumava, sui versanti di quella piramide immensa e perfetta conquistata da una spedizione italiana nel 1954, un enorme dramma. Cinque alpinisti hanno perso la vita lungo le sue pareti: Sergi Mingote, Atanas Skatov, Juan Pablo Mohr, Alì Sadpara e John Snorri. Cinque uomini di nazionalità diverse hanno pagato il prezzo più alto nel tentativo di realizzare la prima ascensione invernale dell’unico ottomila non ancora raggiunto nella stagione più fredda.
Tamara Lunger faceva parte di quel gruppo e condivideva con loro lo stesso sogno audace, pericoloso e magnetico.
È lei stessa a raccontarci i motivi della sua partenza: “Quando sono partita lo scorso inverno per il K2 ero preparata. Quella era ‘la’ spedizione della mia vita. È una montagna che mi ha attratto irresistibilmente dalla prima volta in cui l’ho vista, e per affrontarla avevo svolto adeguati allenamenti, specifici anche sulla componente mentale dell’impegno, essendo abituata a chiedere molto a me stessa. Non avevo dubbio che quella salita (realizzata il 16 gennaio 2021 da una squadra di dieci alpinisti nepalesi, ndr) fosse possibile. Per questi obiettivi ambiziosi tuttavia devi mettere in conto molti aspetti, dato che la forza della montagna e della natura sono molto superiori a quella dell’uomo. Negli ultimi anni mi sono posta degli obiettivi alpinistici che avevano una bassa possibilità di successo, tra il 5 e il 10 per cento. Per me è stato sempre importante fare esperienza, avere la possibilità di ritornare a casa avendo capito un po’ di più chi sono. L’aspetto più rilevante è come ciascuno di noi si percepisce dentro. Quello che è successo lo scorso inverno mi ha tolto positività, anche se ho cercato di mantenerla. Raccontare in un libro quelle vicende mi ha permesso di capire meglio me stessa, le mie paure e i miei limiti”.
C’è un brano del libro che invita a farsi stupire dalle forme del creato: “Fuori c’è una luce così intensa che sembra un gigantesco faro. È così bella… Nevischia leggermente, il cielo è coperto ma la luna illumina tutto, anche attraverso le nuvole. Sembra quasi giorno. Stupendo. A volte penso sia questo il motivo per cui vado per montagne. E, se poi rifletto bene, è anche il motivo per cui sono qui al K2. Per questa natura. Per queste cose che, nonostante tutto, nonostante sia cresciuta in mezzo alle montagne e in mezzo alla neve, mi lasciano sempre a bocca aperta. È una felicità che sento dentro. C’è qualcosa che avverto come magico, una grandezza e una bellezza che non so spiegare, ma che, ogni volta, non smette di stupirmi. E di cui non riesco a fare a meno”. Le abbiamo chiesto quali sono le forme di questa bellezza che la colpiscono di più. “Mi faccio sempre provocare da quello che trovo davanti ai miei occhi. Il K2 è la ‘mia’ montagna, ha una forma slanciata e gigantesca, non presenta lati deboli, è straordinaria nella sua bellezza e per le difficoltà della salita. Però mi affascinano allo stesso modo anche un piccolo fiore che incontro sul margine di un sentiero, la forma di un sasso o la geometria di un cristallo di neve. Sono una persona credente, e voglio mostrare gratitudine anche per queste piccole cose”.
Tamara descrive il campo base del K2, dal quale gli alpinisti partono per organizzare i loro tentativi di salita, come un posto dove ognuno cerca qualcosa e tutti inseguono un sogno. Le chiediamo qual è il suo sogno attuale. “Vorrei che questo fosse un sogno alpinistico, ma in questo momento dentro di me non sono ancora in grado di percepirlo. Adesso sto ancora metabolizzando quello che è successo, voglio rendermi utile e realizzare attività di beneficenza. Il prossimo traguardo da raggiungere prima o poi arriverà”.
Dal piccolo fiore sul margine di un sentiero alle vetta del K2 si snoda il percorso di una vertigine umana. Un itinerario narrato con sincerità che così si conclude: “Percepisco che non sono più la stessa, che qualcosa è cambiato dentro di me. E so che voglio continuare a cercare chi sono, senza più paura, né vergogna. Voglio una spalla su cui piangere e voglio essere forte. Senza dimenticare nulla e ringraziando Dio di aver potuto vivere ciò che ho vissuto e per avermi fatto conoscere delle persone che porterò sempre nel mio cuore”.
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