Viene presentato a Milano il libro di Matteo Carnieletto “Terza guerra mondiale a pezzi” (Il Timone, 2024). Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo ampi stralci della prefazione del generale Marco Bertolini.

Esistono radici profonde dalle quali trae alimento questa nuova era dei conflitti, affondate nelle ragioni storiche e strategiche che portarono alle Guerre mondiali e poi alla Guerra fredda, che divisero in due il continente eurasiatico.



Matteo Carnieletto pone invece la sua attenzione sulle radici meno profonde e più recenti di quest’epoca conflittuale, mettendo in luce gli effetti a noi più vicini di una contrapposizione insanabile che molti ingenui speravano scomparsa per sempre con l’imposizione in tutto il globo del modello occidentale e la fine ingloriosa del comunismo. Cos’è il globalismo, infatti, se non l’affermazione universale del modello grazie al quale, o per colpa del quale, per dirla con Francis Fukuyama, la storia come successione di guerre, frizioni, accordi e tradimenti, sarebbe dovuta finire già da qualche decennio? Una sorta di escatologia laica, quella inaugurata dal politologo statunitense, che aveva la pretesa di anticipare nell’aldiqua quello che le religioni preconizzano per l’aldilà: pace per tutti. Da questa certezza erano nate le operazioni di Peacekeeping, delle quali non si sente ormai più parlare e che erano finalizzate proprio a esportare quel modello, con le buone o con le meno buone.



Al contrario, invece, la storia continua a manifestarsi in ottima salute, addirittura con l’esplosione di una guerra tra due Paesi europei come Russia e Ucraina per una classica disputa territoriale. Una guerra che ha diviso le opinioni pubbliche mondiali in due distinte tifoserie, fintamente scandalizzate dalle immagini di morte che ci arrivano da quella terra, ma in realtà eccitate dal susseguirsi di attacchi e contrattacchi, offensive e controffensive che si credevano relegate nell’archivio delle cose morte per sempre.

Per molti non deve essere stata quindi una sorpresa l’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas contro il suo strapotente nemico storico, Israele, sempre per una rivendicazione di terra e di libertà. L’irruzione in forze di molti miliziani palestinesi fuori dalla gabbia stretta attorno alla Striscia di Gaza dall’Israel Defence Force ha sconcertato l’opinione pubblica, abituata a ritenere quest’ultima capace di prevedere tutto, e comunque di rintuzzare senza problemi le minacce palestinesi. Invece, una pioggia di razzi la cui preparazione pare essere stranamente sfuggita anche ai servizi di intelligence di Tel Aviv, notoriamente tra i più efficaci del mondo, ha accompagnato un complesso attacco multimodale che ha infranto il mito dell’invincibilità israeliana. La risposta rabbiosa a questo smacco non si è fatta attendere, sollevando grande imbarazzo presso le nostre opinioni pubbliche, poco avvezze a valutare con spirito critico il comportamento israeliano, anche di fronte alle struggenti immagini e notizie di migliaia di bambini palestinesi massacrati.



L’attenzione a tale difficile situazione non deve far dimenticare il contesto spazio-temporale complessivo nel quale la stessa si sviluppa. Altre aree di crisi incombono, a partire dalla Siria, teatro da quasi tre lustri di uno scontro tra le forze di Damasco, appoggiate da contingenti russi e libanesi di Hezbollah, e una congerie di formazioni jihadiste e qaediste, ma anche turche e curde, queste ultime supportate da unità statunitensi. Centinaia di migliaia di civili hanno perso la vita e numerose città sono state distrutte, tra cui alcune tra le più antiche comunità cristiane della Terra Santa, nel nostro disinteresse generale. E mentre si torna a innalzare la tensione nei Balcani tra Serbia e Kosovo […] aumentano le frizioni nel Caucaso, tra Armenia e Azerbaigian. Intanto, la Georgia conferma la sua potenzialità di prossimo terreno di scontro, per ragioni analoghe a quelle che hanno portato alla guerra tra Mosca e Kiev, mentre nel Baltico lo spuntare di due nuove nazioni Nato minaccia un equilibrio antico.

Non si tratta di singole guerre iniziate quasi per caso in un tempo pazzo nel quale le ragioni dello scontro bellico hanno la meglio sulla retorica della solidarietà, del dialogo e dell’accoglienza. Al contrario, si verificano in una macroregione, quella che va dal Mar Nero fino al Mediterraneo centro-orientale, che è teatro di tensioni iniziate più di dieci anni fa anche a opera delle stesse democrazie occidentali, con le Primavere arabe che hanno distrutto la Libia per poi incistarsi in Siria, fino ad approdare in Ucraina.

Ora, dopo due anni di guerra in Ucraina, che allo stato attuale certifica il sanguinoso fallimento occidentale nel tentativo di utilizzare l’ex Repubblica sovietica in chiave antirussa, le stesse tensioni ritornano a quello che è il punto di origine di larga parte dei problemi del dopoguerra, rappresentati da un conflitto israelo-palestinese senza fine. Si tratta, in un certo senso, di un’unica area di conflitto che, seppur articolata in diversi “teatri operativi”, vede contrapposte le stesse realtà. Usa e Russia sono i capifila di questo scontro, non a caso entrambi presenti sia in Medio Oriente, con particolare riferimento alla Siria, che in Ucraina, su barricate opposte. Dietro a loro e con loro si coagulano alleanze in larga parte inedite, lasciando presagire un nuovo assetto mondiale, al termine di questo braccio di ferro, non necessariamente in linea con quelle che sono le speranze di chi vorrebbe un new world order a guida statunitense per il prossimo millennio. Cina, Iran, Turchia, Arabia Saudita da una parte e Unione Europea dall’altra sono tra i principali protagonisti di questa polarizzazione.

Ed è questa concentrazione di diversi attori il vero pericolo dell’attuale crisi in Palestina: infatti, l’allargamento del conflitto in Ucraina che non è riuscito al presidente Volodymyr Zelensky, rimasto quindi solo a fronteggiare un nemico più forte, potrebbe svilupparsi in Medio Oriente. A questo si deve l’attenzione posta dalla Russia a non rompere l’equilibrio raggiunto sul suolo siriano con gli amici/nemici turchi e con l’ingombrante presenza militare americana sulla riva sinistra dell’Eufrate. Stessa prudenza, per analoghe ragioni, quella dell’Iran e di Hezbollah, attenti a non dare il destro a Israele per espansioni del conflitto, che con due squadre navali statunitensi nel Mediterraneo orientale potrebbe portare a conseguenze incontrollabili.

In questo contesto c’è da osservare, con sgomento, l’irrilevanza dell’Unione europea. Mai come in questi anni, infatti, le classi dirigenti dei Paesi dell’Unione sono sembrate impreparate a tempi così difficili rispetto alle vituperate classi dirigenti emerse dal secondo dopoguerra. Queste erano dotate di un grande senso dello Stato e di una forte consapevolezza della “missione” di mediazione attiva e di civilizzazione riservata dalla storia al nostro Paese in particolare e al nostro continente in generale. Un continente che solo fino a tre o quattro anni fa affermava la propria ambizione di proporsi quale terzo interlocutore tra Usa e Russia.

“Terza guerra mondiale a pezzi. Il nuovo disordine globale” è il titolo dell’incontro che si tiene a Milano domani, sabato 16 novembre, alle 16, a Palazzo Biandrà, sede della Banca Mediolanum, in via Santa Margherita 1, presenti i giornalisti Matteo Carnieletto, autore del volume, e Fausto Biloslavo e il generale Marco Bertolini.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI