La filosofia del camminare, o camminar pensando per poi scrivere libri, ha una tradizione secolare di illustri scrittori/escursionisti. Henry David Thoreau ne è un po’ il capostipite, e tra l’Ottocento e il Novecento molti altri grandi autori anglosassoni erano anche infaticabili gitanti, da Dickens a Stevenson, da Whitman a de Quincey al cofondatore dell’Alpine Club Leslie Stephen, padre di Virginia Woolf (anch’ella episodica ma appassionata camminatrice), per arrivare oggi a Robert McFarlane o agli scandinavi Torbjørn Ekelund ed Erling Kagge, primo al mondo a raggiungere a piedi i tre “poli” terrestri, Nord, Sud ed Everest.
In questa genealogia si iscrive a buon diritto il francese Sylvain Tesson, autore di molti libri di successo sui suoi viaggi a piedi in giro per il mondo. Pagine a volte noiose, perché appesantite da troppe considerazioni filosofiche. Fanno eccezione due libri, i più belli: qualche anno fa La pantera delle nevi, da cui è stato tratto un film suggestivo uscito l’anno scorso anche in Italia, che rende molto bene il senso dell’attesa per ore, giorni, mesi, nel gelo invernale tibetano, di poter scorgere il leggendario felino.
E ora Bianco, pubblicato con solerzia da Sellerio (l’originale francese è dell’anno scorso), tradotto con la consueta maestria da Marina Di Leo. Racconta delle escursioni in sci lunghe quattro inverni, con due compagni, da un capo all’altro delle Alpi, sempre lungo le linee degli spartiacque dal mare di Mentone a quello di Trieste.
Tesson ci spiega, come sempre, la sua filosofia dell’andare in montagna, ma qui lo fa in modo leggero, accattivante e divertente, perché si lega alla felicità delle piccole cose, inevitabile tra le asprezze dei monti invernali. Lampi di saggezza delle serate nei bivacchi e rifugi. Come il detto russo “al primo bicchiere fai a meno della ninna nanna, al secondo fai a meno delle coperte, al terzo fai a meno del letto”. O “accendere la stufa, far salire la temperatura a 10 gradi, cuocere una zuppa, attività appassionanti riassumibili con una sola parola: sopravvivenza. Sdraiarsi all’asciutto dopo una giornata infernale: una meraviglia”. Una stufa al bivacco dopo la tempesta è quindi la lampante dimostrazione della legge della relatività dei piaceri: “aver caldo dopo aver avuto freddo è più piacevole che mangiare tartufo in una Jacuzzi di champagne”.
Il colore bianco è ovviamente protagonista dalla prima all’ultima pagina. Sempre, o quasi, in positivo: “la neve annulla l’imperfezione e conserva il rilievo”. E insieme a Shakespeare, “dove va il bianco quando la neve si scioglie?”, si chiede Tesson. Tra i pregi del libro i dialoghi secchi, che spesso diventano una breve serie di freddure irresistibili. O certi incontri in alta quota, come le quattro bellissime ragazze bionde (che però non si presentano all’appuntamento in rifugio…). Il monaco del Gran San Bernardo che sembra Pessoa. Il gestore del rifugio dei Grand Mulets, che in mezzo ai ghiacciai del Monte Bianco ha creato una biblioteca di 500 libri di montagna.
Già, i libri. Un altro dei leitmotiv di Tesson, che nei bivacchi trova edizioni tascabili di Proust, di Rimbaud, delle Confessioni di sant’Agostino, che vengono lette avidamente da lui e i suoi compagni e citate a memoria nelle escursioni dei giorni successivi. I libri vengono poi lasciati in un altro rifugio lungo il cammino, la biblioteca circolante delle vette. Memorabili alcune righe di Stendhal sui pregi della contemplazione estetica: “Osservai una volta un pastore delle malghe svizzere che trascorse tre ore, con le braccia incrociate, a contemplare le cime coperte di neve della Jungfrau. Per lui, era una musica”. Se era contemplativo il pastore, figuriamoci Stendhal, immobile per ore a guardare il tutto.
La garbata ironia di Tesson guarda anche alla religione, quando davanti a una chiesetta mezzo sepolta dalla neve, che arriva a lambire Cristo e i ladroni seminudi scolpiti sul portale, osserva che “la rivelazione cristiana non aveva previsto il suo successo né la sua diffusione in alta quota”. Le ultime ardite discese e risalite di Tesson e soci, prima del litorale di Duino, sono sulle Dolomiti, “preziose clessidre” vittime a loro volta del tempo, che le farà crollare.
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