Riprende il percorso dedicato a Giovanni Testori, proposto dal Centro culturale di Milano e condotto da Luca Doninelli. L’appuntamento di questa sera (ore 18.30) vedrà al centro due personaggi chiave dell’universo testoriano: Gerolamo Romanino e Francis Bacon. Il primo è un grande artista “antisistema” vissuto in pieno 500; il secondo è il pittore più scandaloso e controcorrente del 900. Due voci a loro modo eretiche e radicalmente incompatibili con ogni tentativo di normalizzazione operato dai rispettivi contesti culturali.



A dar loro voce, attraverso la mediazione coinvolgente delle parole di Testori, è Giovanni Crippa, attore che deve proprio ad un’opera dello scrittore la sua consacrazione: era stato infatti l’indimenticabile Renzo nella prima edizione dei Promessi Sposi alla prova nel 1984 con Franco Parenti protagonista.

Quando si affronta Testori è difficile e anche improprio separare i campi: il critico d’arte, che viene affrontato ed esplorato con questo appuntamento, incrocia continuamente nelle sue scelte e nei suoi approcci il narratore, il drammaturgo, il poeta.



Prendiamo il caso di Romanino. È un protagonista del Rinascimento bresciano, cioè di un Rinascimento anomalo in tutti i suoi protagonisti, come per primo aveva rilevato Roberto Longhi. L’anomalia è spiegata da Testori facendo ricorso ad un criterio letterario: la lingua espressiva a cui fanno ricorso i pittori bresciani nel 500 (e anche dopo) è un dialetto spavaldamente messo in campo per affermare un altro punto di vista, che vuole affermarsi come alternativo a quello ufficiale del grande rinascimento, centroitaliano o veneziano.

Romanino in questa prospettiva è il più radicale: il suo è un dialetto che non va a lavare i panni da nessuna parte, ma semmai si reinventa. È una lingua figurativa potentemente popolare e contadina che riporta la pittura ad aderire alla realtà e a tutte le sue vitalissime imperfezioni.



Naturalmente per Testori la pittura di Romanino (artista molto amato anche da Pasolini) diventa un riferimento fondamentale per la sua scrittura teatrale, quando qualche anno dopo queste pagine si troverà a lavorare su L’Ambleto per Franco Parenti. Quel testo è scritto con una lingua reinventata, che ingloba il dialetto e insieme lo ricrea, e ne fa un impasto sonoro destinato a farsi tutt’uno con il corpo e con la fisicità degli attori (per questo gli attori amano tanto la lingua di Testori).

Continuando la lettura in parallelo si può dire che quella “b” introdotta nel nome di Amleto suona come un inciampo, proprio come la pittura di Romanino rappresentava un inciampo dentro i meccanismi perfetti messi a punto dal grande Rinascimento ufficiale.

Quanto a Bacon, il testo che Giovanni Crippa leggerà opera un ribaltamento, evidenziato dal titolo Ecce Bacon. Per Testori il grande artista inglese è testimone di uno splendore, tanto più credibile e reale perché esito di una “provocatoria, efferata ma, al fondo, atrocemente disarmata e innocente escandescenza”. Escandescenza che è la realtà della sua pittura.

Testori tiene a chiarire come il carattere sacrificale della pittura di Bacon non sia affatto un esercizio enfatico o masochistico: reputa che questa sia una lettura affretta e anche vile. Testori vede invece un’innocenza di fondo nella pittura di Bacon, che spiega le fiammate di splendore che la contraddistinguono, anche quando alza il suo urlo sconvolto.

Anche in questo caso Testori rompe lo schema e la sua parola si fa così prossima alla realtà della pittura da spalancare sguardi che nascono dal di dentro. Quindi è tutto ascoltare…

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