Di fronte alla notizia di una sciagura, almeno per qualche attimo, restiamo smarriti e increduli, sgomenti. Ci immedesimiamo nello sconforto dei familiari delle vittime sentendoci impotenti, incapaci di uscire dal baratro dell’assurdo. A volte c’è chi avverte un tuffo al cuore nel constatare un immeritato e casuale privilegio: “Avrei potuto essere lì… e solo per un soffio, per un contrattempo, non sono stato coinvolto nella tragedia”. Gli interrogativi ingarbugliano i pensieri incagliandosi inevitabilmente in plaghe insondabili, eppure ad ogni nuovo catastrofico evento quegli stessi interrogativi si affacciano puntuali e ostinati risvegliando la volontà di sondare l’imponderabilità delle sorti umane.
Nel romanzo Il ponte di San Luis Rey di Thornton Wilder, il crollo del ponte evocato nel titolo suggerisce il movente di una trama che si svolge aderente al desiderio di andare alla radice di quella fatalità inesplicabile e ricorrente nelle vicende di ogni tempo. “Venerdì 20 luglio 1714, a mezzogiorno, il ponte più bello di tutto il Perù crollò e cinque viandanti precipitarono nel burrone sottostante”. Questo l’incipit del libro: una notizia trasmessa nello stile essenziale di una cronaca, apparentemente destinata a perdersi nella generale dimenticanza, grazie alla curiosità puntigliosa di Fra’ Ginepro si rivestirà di duraturo interesse assumendo tutt’altra prospettiva. “Perché mai è capitato proprio a quei cinque?” si chiese il piccolo francescano dai capelli rossi, caparbiamente interessato a rintracciar il filo invisibile che lega ogni esistenza umana a una origine misteriosa. “O viviamo per caso e per caso moriamo; o viviamo secondo un piano e secondo un piano moriamo”: lo stringente dilemma da dirimere spinse il frate ad avviare un’accurata indagine sulla vita segreta delle cinque vittime scaraventate nello strapiombo.
Ogni esistenza, si sa, quando se ne scava la profondità, mette allo scoperto il dramma della vita, una sorta di duello fra realtà e sogno, l’inesausta ricerca di senso e di felicità declinata secondo una gamma infinita di circostanze, desideri, illusioni, amori e passioni, contraddizioni esasperate o riequilibrate. Fuoriescono così dalla penna di Wilder le storie della Marquesa di Montemaryon, di Esteban, zio Pio, Pepita e del figlio dell’attrice Camila Périchole, storie intrecciate fra loro che in ogni protagonista evidenziano un’umanità irriducibile, debordante e incompatibile con schemi, analogie e deduzioni, del tutto inefficaci a chiarire l’enigma del loro accidentale appuntamento con la morte. E tuttavia, nel groviglio di quelle vicende in molti casi cupe e inabissate in desolanti mediocrità, la domanda sul destino affiora con naturale persistenza.
“L’indagine frustrata di Fra’ Ginepro somiglia molto a una delusione che noi umani nell’epoca dei Grandi Progressi stiamo cominciando a conoscere… allo stesso modo noi stentiamo ad accettare che dietro ogni accadimento ci sia spesso solo il destino” nota Roberto Alajmo nella prefazione, in cui fra l’altro sottolinea il successo clamoroso del romanzo uscito nel 1927, che vinse il premio Pulitzer l’anno successivo divenendo un best seller ante litteram e restando per almeno due generazioni un modello di narrativa strettamente imparentata col giornalismo, tanto che Indro Montanelli ne prescriveva la lettura agli aspiranti cronisti. Di fatto la recente edizione Sellerio conferma ancor oggi, a distanza di quasi un secolo, l’attrattiva dell’opera, in cui la geniale creatività di Thornton Wilder trasforma un fatto realmente accaduto, una notizia di cronaca, in finzione letteraria che porta a galla, da un sottofondo burrascoso abitato da anime inquiete e invischiate in insuperabili contraddizioni, un anelito imprevisto, una spinta del cuore alla ricerca di un’essenza nascosta, di un destino che sfugge alla presa pur continuando a suscitare un’attesa, a sollecitare il desiderio di una risposta. E proprio l’inestinguibile domanda di senso che permea l’intera trama, ancora oggi e più che mai in un tempo in cui l’umanità pare accecata dall’illusione di un dominio senza limiti, insinua un messaggio liberante, sembra allontanare un incubo riconducendo l’esistenza sulla soglia del Mistero.
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