L’ultimo libro di Alver Metalli, Tierra Prometida. Storia di una storia (Edizioni di Pagina, 2023) è la dettagliata e coinvolgente ricostruzione di una trama amicale (una corrente, un passaparola, una Parola che passa) che in un particolare decisivo decennio, dal 1973 al 1984, si ramifica collegando Italia e America Latina e portando il movimento di Comunione e Liberazione a confrontarsi e crescere in quelle a prima vista distanti latitudini.
Seguiamo i molteplici protagonisti, molti anonimi ai più, qualcuno noto ma incontrato in differenti territori, lungo un intreccio, un procedere orizzontale fatto di incontri, alcuni accidentali e apparentemente senza conseguenze, altri voluti e organizzati in momenti di sintesi, tutti però privi di quella ossessione verticistica e ideologicamente orientata che misura l’importanza delle cose a partire dai risultati organizzativi. Un rizoma, quindi. Non un albero.
A un lettore per storia personale lontano da quei contesti storici, geografici ed esistenziali, ma attratto dal potente senso di appartenenza testimoniato in ogni riga, il dato che traspare sotto la puntigliosa descrizione (di incontri a due, relazioni epistolari, cene conviviali, convegni, meeting, conferenze episcopali) è una irrefrenabile feconda nostalgia. Non una malinconia per ciò che ha dato frutti straordinari ed è poi inevitabilmente venuto meno, come i colori di una vecchia fotografia, ma una modalità che spezza l’ineluttabile senso del tempo (che annienta ogni desiderio di cambiamento, ogni speranza) e caparbiamente rilancia l’ingiunzione millenaria: in avvenire, ricordati di ricordarti l’avvenire.
Come sottolinea Walter Benjamin in Angelus Novus (Einaudi 1962): “Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto”.
A saperla guardare, la storia dei vinti, vale a dire i nostri insoddisfacenti annosi sforzi talvolta finiti in poco più di nulla, ci mostra come rispondere alla storia dei vincitori, alla potente forza di attrazione del mondo, alla sua perniciosa capacità di omologazione, al conformismo dilagante che trasforma ogni essere umano in un bramoso insoddisfatto narcisista gregario. In altri termini, come stare nelle circostanze che notoriamente sono sempre in mano al nemico. Bisogna avere una visione messianica della storia, perché l’avvento del Messia (che guarda sempre la storia con gli occhi dei vinti) è quello strappo, quella forzatura, quella irruzione che scompagina le carte, che non fa parte del gioco, che non è in nessun caso una sua finalità ma semmai ciò che ne può determinare il superamento. La liberazione, la redenzione del singolo e dei molti non si fa da sé, né per ragioni storiche, né tanto meno per l’esito di una efficace programmazione, ma è la conseguenza – inaspettata, irragionevole, eccentrica – di un Qualcosa di totalmente altro che determina e guida, a dispetto della nostra bravura o della nostra incompetenza, il rinnovamento.
In altri termini, leggendo Tierra Prometida, percepiamo nel dispiegarsi delle pagine le movenze di una passione, di una fede che si attiva non per cambiare il mondo e farlo a nostra immagine e somiglianza, ma per salvarlo. Riferendosi al Cristo, Dominique Collin sottolinea nel suo ultimo saggio Credere nel mondo a venire (Queriniana 2023): “Il mondo a venire che Egli chiama Regno non è una utopia o un paradiso post mortem, ma una realtà presente, resa operante da un certo modo di vivere”.
Sono passati molti anni dalla storia raccontata da Alver Metalli, quasi cinquanta, dalla partenza di una ragazza di Chiavari appena laureata per un quartiere periferico di Buenos Aires. Con alle spalle la conferenza episcopale di Puebla e la sua profonda riflessione cristologica ed ecclesiologica sull’evangelizzazione con una prospettiva e un’anima latino-americana, una storia che si è poi dipanata dal Messico al Cile, che ha coinvolto studenti, professori universitari, intellettuali, sindacalisti.
Una storia che ha contribuito al poderoso sviluppo dei movimenti ecclesiali sotto la guida di Giovanni Paolo II, in un concreto desiderio di rinnovamento della Chiesa, per l’affermarsi di una esperienza di trasformazione della propria vita nella fedeltà all’incontro, qui e ora, con Cristo. Sono passati quarant’anni dalla presenza di un altro giovane, un ragazzo di diciassette anni, convinto suo malgrado ad accompagnare il padre alla presentazione ufficiale di Comunione e Liberazione nella capitale argentina: “Più che le parole […] quella sera mi colpì l’incontro con una persona per la quale la fede, lungi dall’essere un’intima pietà, era la fonte da cui scaturivano intelligenza e giudizio sulla realtà, speranza sempre viva nelle possibilità del presente”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.