C’è una domanda ben precisa al cuore dell’ultimo libro di Timothy Radcliffe, da poco pubblicato in Italia (Accendere l’immaginazione, essere vivi in Dio; Emi, 2021): perché il cristianesimo oggi non interessa quasi più a nessuno, neppure agli stessi cristiani?
Considerato tra gli autori di spiritualità più noti a livello internazionale, almeno nel mondo anglosassone, Timothy Radcliffe, già maestro generale dell’Ordine domenicano, teologo e biblista, tiene conferenze in tutto il mondo. Numerosi i suoi libri già stampati in Italia, passati un po’ inosservati (sarà ospite dell’edizione di quest’anno del Meeting di Rimini). Questo nuovo libro, un poderoso tomo, può essere l’introduzione più adeguata al personaggio perché efficacemente contiene il cuore del suo messaggio.
Dotato del tipico approccio anglosassone (ricorderà a chi lo ha conosciuto o lo ha letto lo scomparso mons. Lorenzo Albacete), capace di passare da uno spunto all’altro, dalle serie televisive alle canzoni hip hop e rock, dai film ai romanzi ai grandi padri della Chiesa e ovviamente ai Vangeli, dalla politica (l’insorgere del populismo e dei nazionalismi) alla psicologia, Radcliffe risulta sempre appassionante, capace di notevole senso dello humor, accattivante e mai tedioso, o didascalico e auto indulgente come invece tanti suoi colleghi religiosi (e non).
Il suo messaggio potrà invece ricordare quello che è l’essenza dell’opera di don Luigi Giussani: l’apertura alla realtà in tutti i suoi fattori (“Nulla di ciò che è umano è estraneo a Cristo” si intitola uno dei capitoli), come unico metodo per aprirsi a quella che nei primi capitoli Radcliffe chiama “l’avventura trascendente”. L’autore infatti si rivolge per sua stessa ammissione contemporaneamente ai non credenti e a quei cristiani che hanno perso il fascino della fede, riducendola a una serie di noiose norme che hanno reso l’essenza stessa del cristianesimo non più interessante al mondo: “Per milioni di giovani il linguaggio della fede semplicemente non ha significato. È antiquato come una macchina da scrivere. Appartiene a un altro mondo, è un’altra lingua (…) La Gran Bretagna sta diventando a larghi passi un paese postcristiano. John Lennon cantava: ‘Imagine there’s no heaven; it’s easy if you try’ (Immagina che non esista il paradiso; è facile se provi). Sempre più gente in Europa non crede, e senza lontanamente sentire il bisogno di almeno provare a farlo”.
Come recuperare allora quello che Radcliffe chiama “cuore ardente” ricordando l’episodio dei discepoli che incontrano Gesù dopo la Resurrezione senza riconoscerlo inizialmente? (“Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”). Accendendo l’immaginazione è la risposta: “Qualche volta userò il termine immaginazione nel senso di una visione del mondo viva, emozionante, una visione creativa. Gesù aveva un’immaginazione vivace” scrive. Tutto questo per reagire in primo luogo alla “globalizzazione della superficialità, conseguenza della banalità di tanta comunicazione presente sui social media”. Tornando a don Giussani, ecco come le sue parole hanno un eco profonda in Radcliffe (che non sappiamo se lo abbia mai letto o conosciuto): “Noi siamo chiamati a un incontro che sazi tutta la fame che avvertiamo di pienezza di significato, un incontro che ricomprenda le piccole spiegazioni con cui diamo senso alla nostra vita”.
Radcliffe dà indicazioni di metodo: “Alla maggior parte della gente bastano pochi secondi per un giudizio su un dipinto e passare oltre. Uno sguardo e poi mi piace o non piace, al modo in cui scelgono o negano amicizie su Internet. Ma se vuoi vedere un dipinto devi aspettare che si riveli. Se vuoi sentirlo devi stare in silenzio. Quando lo osservi la prima volta la tentazione è catalogarlo (…) ma se attendi si rivela nel linguaggio che gli è proprio”. Lo stesso vale per la musica e in sostanza per tutto ciò che è espressione dell’umano e della realtà: “Qualche mese dopo mi trovavo steso sul letto ad ascoltare uno degli ultimi quartetti d’archi di Beethoven. Mi arresi alla musica. Si trattava di una forma di obbedienza profonda in cui mi aprii ad accogliere ciò che essa mi offriva. Accettai obbedientemente l’invito della musica a incamminarmi sul suo sentiero e a vedere dove mi portasse”.
Attraverso un cammino approfondito scandito da passi come “Crescere, peccato e perdono, insegnare, la vita risorta, la vita di preghiera, la poesia” Radcliffe ridà corpo e sangue al vero Cristo, quello che abbiamo perduto nelle disquisizioni pseudo-teologiche infarcite di ideologie di parte: “Colui che i cristiani sarebbero arrivati a riconoscere come Dio vero da Dio vero non guida un esercito né proclama riforme di tipo politico. Si muove in ogni direzione dando risposte alle sofferenze umane (…) Non guarisce allo scopo di faregente discepoli, solitamente dice a chi ha ritrovato la salute di tornare a casa, guarisce gli ammalati perché desiderano star bene per tornare alla loro vita normale. Le guarigioni non sono spot in vista di reclutare nuovi membri per la sua nuova comunità (…) Il punto è che per l’immaginazione cristiana l’approccio all’infinito avviene sempre nel finito”.
Uno sconvolgimento della nostra immagine di Gesù, più prezioso che mai in questi tempi oscuri dove ha preso il sopravvento la coscienza dell’“essere già arrivati” solo perché ci diciamo credenti, di avere la soluzione in tasca: “Nel viaggio della vita noi viviamo con identità provvisorie, io sono un work in progress”.
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