Nell’infuocato dibattito scatenato dalla ricorrenza del 25 aprile è difficile trovare una sincera volontà di rispettare ciò che è realmente accaduto, essendo tutto riportato alle convenienze di parte. Se ci fosse stato ancora al governo il Pd, probabilmente il dibattito sarebbe stato meno infuocato. Il Pd e la sinistra in generale si sono fin dall’inizio appropriate della Resistenza, usata come arma contundente verso i propri avversari con l’accusa di filo fascismo. A questa strumentale posizione si rifà la pretesa che i partiti al governo, in particolare Fratelli d’Italia, dichiarino il proprio antifascismo. Una richiesta non connessa a particolare atti del governo, ma ancora una volta strumentale al mettere sotto scacco l’avversario politico.
Sarebbe, invece, opportuno riprendere le origini del Pd e i passaggi che, attraverso Ds e Pds, lo riportano al Pci, il Partito comunista italiano. Non a caso, punto centrale del dibattito è l’importanza della partecipazione comunista alla guerra di liberazione, una partecipazione senza dubbio rilevante, ma non tale da consentire di appropriarsi di tutta la Resistenza. Come è stato fatto ampiamente notare, altrettanto importante è stata la partecipazione dei partigiani cattolici, dei laici non comunisti, di monarchici e dell’esercito regolare.
Questa spregiudicata presa di possesso da parte dei comunisti e dei loro successori del 25 aprile non è in realtà diretta a far dimenticare i misfatti compiuti durante la guerra partigiana, tragico connotato di ogni guerra e soprattutto delle guerre civili. Ciò che si vuol far dimenticare è per cosa veramente combattevano le brigate “rosse”, a differenza di quelle “verdi”, cattoliche, o di altre formazioni partigiane. Queste combattevano per la costituzione di un’Italia democratica, monarchica o repubblicana, i comunisti combattevano perché l’Italia diventasse una “democrazia popolare”, come nell’Europa sotto il giogo sovietico.
Tuttavia, i crimini commessi durante la lotta partigiana non erano solo rappresaglie nei confronti del nemico o di chi era considerato un “collaborazionista”. Erano diretti anche contro chi si riteneva potesse essere ostacolo alla loro presa del potere: altre formazioni partigiane non comuniste, come nel caso della “Osoppo” e dell’eccidio di Porzûs, o preti cattolici, anche se seminaristi ragazzi, come nel caso di Rolando Rivi.
Dopo la fine della guerra molti partigiani comunisti attendevano l’inizio di una nuova lotta armata, come successe dal 1946 al 1949 in Grecia nella sanguinosa guerra civile che finì con la sconfitta dei comunisti, anche per il supporto americano. Palmiro Togliatti, che aveva deciso di prendere il potere per via elettorale, presumibilmente in accordo con il Cremlino, impedì sollevazioni armate, anche dopo l’attentato di cui fu vittima nel luglio del 1948. Il 18 aprile dello stesso anno si erano tenute elezioni generali con la partecipazione di più del 90% degli elettori, preceduta da una campagna elettorale molto aspra. La Democrazia cristiana ottenne più del 48% e la coalizione socialcomunista il 31%; l’Italia rimase nel campo occidentale e il Pci lungamente all’opposizione.
Con la rivolta ungherese del 1956 e l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968 si cominciarono a creare incrinature nella solidarietà dei comunisti italiani con Mosca e iniziò il processo di mutazione che portò infine al Pd. Quest’ultimo è ora piuttosto lontano dal Pci di origine e sempre più vicino al Partito democratico americano di cui imita il nome. Mutamento che la nuova segreteria sottolinea in modo particolare. Il dibattito sul 25 aprile dimostra come l’eredità comunista rimanga geneticamente in buona parte della sinistra, se si preferisce dei “progressisti”. Gli eredi di Togliatti (soprannominato “il migliore”) continuano a considerarsi migliori degli altri per definizione.
Quanto evidenziato credo risponda alla sostanza dei fatti e porta a chiedere a quella sinistra cosi pronta a pretendere condanne del fascismo se non sia giunto il momento di dichiarare la sua esplicita e totale condanna del comunismo. Così da chiarire definitivamente la questione.
Un suggerimento per il 2024. Lasciamo il 25 aprile come giorno della memoria di tutti quelli che hanno sacrificato la loro vita in quella guerra, magari anche per quelli che lo hanno fatto convinti della bontà della loro causa, anche se sbagliata. E festeggiamo la nostra unità il 2 giugno, festa di quella Repubblica che da quel bagno di sangue è nata, per quanto imperfetta sia.
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