“Infatti ci vuole una rivelazione improvvisa”. Si apre con questa citazione di Federigo Tozzi Una rivelazione improvvisa (Raffaelli Editore, 2020), il lavoro che Gianfranco Lauretano dedica allo scrittore senese, morto a Roma cent’anni fa, il 21 marzo 1920, per il Covid di allora, l’influenza spagnola. Va subito detto che su Tozzi è pesata a lungo una critica riduttiva, che ne ha determinato la poca fortuna nelle antologie scolastiche e nei percorsi di studio. Lo scrittore, del resto, non fece niente per rendere la sua opera più appetibile a chi preferisce autori di più immediata comprensione. I suoi non sono temi popolari: parla di anima, di relazioni e ferite impossibili, di solitudine e dolore universale come pochi altri scrittori. Soprattutto è attratto dal mistero che sostanzia persino la scena delle nostre giornate, da una realtà che sfugge il più delle volte schemi pacificanti.



Per Tozzi le cose accadono, le persone passano, gli animali si manifestano indipendentemente dal senso immediato che riusciamo a dare. Nei suoi romanzi (soprattutto Tre croci, Il podere e Con gli occhi chiusi, il capolavoro) non importa lo sviluppo logico della narrazione: se un particolare viene inserito nel racconto, non è perché verrà giustificato dalla trama, come enuncia nel suo testo critico più conosciuto, Come leggo io, riproposto in appendice a questa edizione.



Tozzi è scomodo perché propone al lettore il racconto della realtà così come accade fuori dal calcolo e dalla sua spiegazione immediata. Le cose accadono indipendentemente dalla nostra volontà di metterle subito in fila, così come esiste l’anima che non può essere inizialmente descritta se non con quella sua bellissima espressione: “i misteriosi atti nostri”. Non solo dunque l’uomo non può decodificare tutto ciò che accade, ma non riesce a spiegare nemmeno sé a se stesso. Questo autore rappresenta continuamente il mistero.

Per Lauretano, che ripercorre anche l’analisi principale di Tozzi, cioè quella di Debenedetti, se c’è stata una forzatura da parte della critica nel leggere la sua opera è stata l’aver percorso, al contrario, una via interpretativa quasi esclusivamente psicoanalitica e forzatamente simbolistica. È invece Tozzi stesso a dire “io dichiaro di ignorare le trame di qualsiasi romanzo; perché, a conoscerle, avrei perso tempo e basta. La mia soddisfazione è di poter trovare qualche ‘pezzo’ dove sul serio lo scrittore sia riuscito a indicarmi una qualunque parvenza della nostra fuggitiva realtà!”. È il metodo con cui valuta le opere altrui e con cui procede nel suo stesso lavoro.



Tozzi, per i temi trattati, per lo stile, per il ritmo narrativo è accostato ad un altro grande della letteratura mondiale, Dostoevskij. Anche nella sua opera, infatti, il focus è l’anima dell’uomo, un’anima tormentata da ciò che accade intorno e da ciò che la agita; un’anima che soffre l’impossibilità della comunione con le altre anime. Sostanza misteriosa della realtà, anima, solitudine, scrittura travolgente, ce n’è quanto basta per decretare la sfortuna di uno scrittore, in un’epoca come la nostra in cui sono vincenti i facili espedienti delle scuole di scrittura creativa. Tozzi è troppo potente nella sua capacità narrativa, troppo acuto nel descrivere l’abisso antropologico di un secolo che si apre sugli ultimi fasti del positivismo e che si sta già schiantando contro gli scogli totalitari del Novecento.

Troppo lucido, dunque, nel dare forma alla desolazione dell’uomo moderno, Tozzi non fu solo romanziere, ma anche poeta. Il cofanetto pubblicato da Gianfranco Lauretano, oltre al suo percorso di lettura della vita e dell’opera tozziana, Una rivelazione improvvisa, contiene la raccolta di poesie Specchi d’acqua. Si tratta di una novità assoluta, poiché questa raccolta come libro a sé non era mai stata pubblicata. Lauretano dimostra che da un lato questa, delle tre raccolte poetiche tozziane, è la più riuscita, in quanto legata alla sua maturità umana e poetica; dall’altra perché queste poesie, scritte sulla soglia della svolta narrativa, rappresentano un’efficace chiave interpretativa per comprenderne i romanzi. Vi compaiono già in nuce i temi che caratterizzano l’opera in prosa di Tozzi.

Tozzi potè indagare in profondità la realtà umana anche in virtù della sua fede cristiana, uno degli aspetti più travisati dalla critica psicanalitica: non è un caso che “Specchi d’acqua” porti in esergo una frase esemplare di Santa Caterina da Siena: “Che tale diventa la creatura/ quale è quella cosa che ama”; e si conclude con due liriche intitolate “Canzone alla Vergine” e “A Dio”, che rappresentano un unicum nella letteratura italiana del Novecento.

Ogni centenario degno di questo nome non ha ragione di essere festeggiato se non per il fatto che ci ripresenta un’esperienza ancora in grado di parlare e di comunicare una novità ancora attuale. Il lavoro di Gianfranco Lauretano ci aiuta ad entrare nell’opera di Tozzi seguendo questa dinamica e a riscoprire un grande autore della nostra letteratura; grande perché, nel suo narrare, al colpo di scena preferì l’accadere delle cose, alla facile e veloce spiegazione preferì stare di fronte alla persistenza del mistero.