Alla voce Peter-Paul Rubens in qualsiasi enciclopedia si trova la definizione “pittore”. Certamente fu pittore e quanto mai prolifico, ma Rubens fu anche molto altro. Lo dimostrano la serie di mostre a lui dedicate in contemporanea a Mantova e alla Galleria Borghese di Roma: due città, che insieme a Genova, lo videro protagonista, poco più che ventenne, di un’intensa attività artistica, ma anche diplomatica e mercantile.
A navigare con saggezza tra situazioni conflittuali Rubens si era abituato fin dalla nascita: infatti era venuto alla luce nell’esilio di una cittadina tedesca, in quanto il padre protestante aveva dovuto allontanarsi da Anversa dopo il sacco della città compiuto dagli spagnoli nel 1576. Peter Paul fu però allevato secondo un’educazione cattolica dalla madre Maria Pypelinckx che, dopo la morte del marito, tornò ad Anversa nel 1589. In quell’anno gli spagnoli si erano reimpossessati della città che era stata affidata da Filippo II al governo saggio di Alberto VII d’Asburgo e di sua moglie, l’Infanta Isabella Clara Eugenia. Rubens sarebbe presto diventato uno dei principali ambasciatori delle Fiandre spagnole, presente nelle più importanti trattative internazionali e in più di qualche caso protagonista diretto di accordi di alleanza tra diverse nazioni.
Rubens era partito per il fondamentale soggiorno in Italia nel 1599: ed è quasi sicuramente per il tramite di Alberto che aveva ottenuto di diventare pittore di corte dei potentissimi Gonzaga. Per conto del duca Rubens viaggiava e si impegnava a procurare opere per arricchire la collezione mantovana. Il successo più clamoroso aveva riguardato un capolavoro di Caravaggio, La morte della Vergine, che era stato rifiutato dai carmelitani di Santa Maria della Scala a Roma nel 1605 e che Rubens aveva intercettato e fatto comperare al duca (ora è conservato al Louvre). Due anni prima era stato mandato in missione diplomatica sempre da Vincenzo Gonzaga presso la corte di Spagna, con una nave carica di opere d’arte. Era la prima di tante altre iniziative diplomatiche di cui si sarebbe reso protagonista nel corso della sua vita.
In un’Europa dilaniata dalla Guerra dei trent’anni, Rubens pensa che la pittura possa e debba avere un ruolo: quello di essere strumento di pace. Favorito da un temperamento positivo e da un linguaggio potentemente eloquente, l’artista con la sua pittura proponeva un immaginario capace di andare oltre i conflitti. Credeva nella forza e nella funzione delle immagini: non a caso lavorava con grande disinvoltura su dimensioni monumentali. È di tre metri per due il suo quadro in questo senso più emblematico: si intitola Le conseguenze della guerra, ed è custodito a Palazzo Pitti a Firenze. È una metafora travolgente attraverso la quale Rubens narra il disastro a cui andava incontro l’Europa travolta dai conflitti che la stavano insanguinando. Il passo di Marte trionfatore calpesta ogni segno di umanità. Viene travolta la Carità, impersonificata da una donna che allatta un bambino. Il piede del dio della guerra schiaccia con violenza e disprezzo i libri simbolo della cultura; una donna e un uomo, personificazione di musica e architettura, sono buttati a terra con violenza. Sulla sinistra si vede l’Europa, raffigurata come una donna che in abiti scomposti, stracciati e vestita a lutto, alza le braccia verso il cielo in una sorta di disperata richiesta di aiuto. Un’immagine che non smette di essere attuale e che Rubens ci regala, spogliandola però di ogni fatalismo.
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