In proporzione al numero di abitanti, l’Argentina ha avuto più morti per Covid-19 dell’Italia o del Brasile. L’epidemia ha colpito duramente, in particolare nelle favelas, che in Argentina si chiamano, con icastica definizione, villas miserias. E di questo tratta Alver Metalli in Epifanie. Racconti minimi di vita e di morte (Edizioni di Pagina, Bari 2021), un libro di brevi, fulminei racconti-verità, quadri di vita, istantanee che narrano la vita al tempo del coronavirus in un contesto in cui sopravvivere è già ordinariamente difficile.



Alver Metalli, giornalista e scrittore, in questo contesto però ha scelto di vivere, da otto anni: lo conosce quindi molto bene, e sa cogliere, e mettere su carta, quelle che chiama le “epifanie”, intese alla maniera di Joyce, ovvero quelle improvvise rivelazioni spirituali, causate da un gesto, un atteggiamento, una situazione quotidiana, che però, improvvisamente, rivelano un senso inaspettatamente profondo.



Ed ecco, quindi, la cronaca della vita in questo quartiere – o meglio, in questa città nella città -, una vita che si rivela ricca in termini non materiali, ma di umanità, nel segno di una solidarietà spesso assente in contesti più fortunati: bisogna infatti pensare che la pandemia ha portato alla sospensione di tutte quelle piccole attività dalle quali la popolazione ricavava di che vivere, come, per esempio, quella dei cartoneros, i raccoglitori carta e cartone.

Questo avrebbe comportato una penuria ancora maggiore; ma, inaspettata, si attiva la rete della solidarietà, nel recuperare cibo, nel prepararlo, nel distribuirlo: presto i beneficiari di questa distribuzione da poche decine diventano mille, duemila, tremila; il che significa una massa imponente di pasti preparati e consegnati ogni giorno, a una umanità che, per quel poco, così importante ed essenziale, fa lunghe code sotto la pioggia, al freddo.



E, come annota Metalli, la solidarietà, di sicuro, non è un bene che si improvvisa da un giorno all’altro, non è qualcosa di automatico, soprattutto quando abbraccia un numero tanto cospicuo di persone e si prolunga tanto a lungo nel tempo; una mobilitazione simile, in una baraccopoli, di certo, ha dietro di sé un retroterra costruito in decenni, in secoli, un retroterra fatto di fede semplice e tenace, di devozione popolare, alla Madonna e ai Santi, di preghiere e di rosari, di fede tradotta in opere, che è del singolo ed è del popolo. Questo fa riemergere quei legami capaci di resistere a un evento che, per esempio, da Riccione, dove vive, il padre ultranovantenne dell’autore paragona alla Seconda guerra mondiale, che egli visse sulla sua pelle. Ma, a differenza di quanto succedeva con i tedeschi, con i nazisti, ai quali, con le giuste accortezze, si poteva sfuggire, in questa pandemia, che è una sorta di terza guerra mondiale, non si può scappare, la Signora con la falce può venirci a ghermire anche nel nascondiglio più apparentemente appartato.

E così, in questi brevissimi racconti che sono tranches de vie, troviamo un’alternanza di piccoli episodi lievi frammisti a grandi tragedie: subito dopo la semplice gioia dei bambini che ottengono in dono un uovo di cioccolato, avvolto nella sgargiante carta che si conviene al più tipico dolce pasquale, leggiamo la breve e scarna, ma non per questo meno dolorosamente partecipata, storia di Ignacio, uno dei tanti borrachines, alcolizzati senzatetto, quelli che una casa e una famiglia le hanno perse, o, molto più spesso, non le hanno mai avute, e che vivono per strada riciclando rifiuti.

C’è di tutto, in questo microcosmo che sono le villas miserias: la violenza (un intero capitolo è dedicato alla triste consuetudine delle sparatorie, i cui colpi, a chi li sa ascoltare, rivelano la vicenda e le circostanze che hanno portato a farli esplodere), la droga, la malattia, che certo non aspettava il Covid-19 per iniziare a tormentare il popolo delle villas miserias: e poi, troviamo tante, tante fotografie, che danno una testimonianza anche visiva e immediata di questa realtà che Metalli ha immortalato con le parole.

Potremmo chiederci che cosa ci sia dietro alla scelta di vita dell’autore: non basta motivarla con un generico altruismo, con l’eroismo di uno spirito infervorato per il Bene: armati soltanto di questa corazza, non si reggerebbe a lungo l’urto della vita nelle villlas miserias; soprattutto, non sarebbe possibile quell’atteggiamento che mescola realismo senza sconti e una serenità che viene soltanto da chi – e l’autore ce lo fa capire in modo molto sommesso e discreto, da bravo cronista-giornalista che vuole raccontare e che non ama i riflettori puntati su di sé – ha intrapreso un cammino di fede.

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