Perché noi esseri umani siamo capaci tanto di cooperare quanto di confliggere tra noi, fino a farci la guerra? Questa domanda cruciale è molto attuale in un momento in cui i venti di guerra sembrano alimentare sempre nuovi conflitti. Il libro di Marina Capizzi Non morire di gerarchia (Franco Angeli, 2023) proietta una luce originale che aiuta a fare un significativo passo avanti per trovare una risposta a questa domanda. L’originalità sta nel tema dal quale Capizzi parte e che esplora da punti di vista inaspettati: la gerarchia. Di gerarchia noi non parliamo mai perché abbiamo forti convinzioni che ci schierano: c’è chi la considera intoccabile e chi fonte di ingiustizie e sfruttamento, e difficilmente andiamo oltre. Ma, ci dice Capizzi, noi siamo immersi continuamente nella gerarchia, nei luoghi di lavoro e non, e dovremmo allargare la nostra consapevolezza sugli impatti che la gerarchia ha sul benessere individuale e collettivo.



C’è infatti una buona gerarchia e una mala gerarchia, e l’una e l’altra incidono enormemente sulla qualità delle nostre vite. Perché proprio il tipo di gerarchia che coltiviamo determina il modo in cui interagiamo: difendere noi stessi arrivando a farci la guerra o costruire un ambiente che favorisca la comune sicurezza? La buona gerarchia rende naturali la messa in comune di energie, competenze e contributi: gesti che ci permettono di creare qualcosa di più grande, che da soli non potremmo mai realizzare, a vantaggio del bene comune grazie al reciproco sviluppo. La mala gerarchia, invece, è uno strumento per difendere interessi individuali che crea profonde divisioni, esclusione e conflitti fra le persone, e su grande scala può portare a farci la guerra.



Ma perché la gerarchia è così importante? Che cosa distingue la prima dalla seconda? E, ancora prima, che cos’è la gerarchia? Siamo abituati a far coincidere la gerarchia con il sistema di potere. I nostri sistemi sociali sono da sempre gerarchici: lo sono le istituzioni (lo stato, la chiesa, l’esercito, la scuola) le imprese, le organizzazioni no profit, le associazioni, i partiti.  Ma, dice Capizzi, la gerarchia di potere è solo un esempio delle gerarchie che produciamo perché “la gerarchia è innanzitutto una risorsa che crea un ordine di importanza, necessario per governare le situazioni che viviamo”.



Noi creiamo continuamente gerarchie individuali e collettive: gerarchie di priorità, di competenza, di affetti, di valori, eccetera. Senza gerarchie sarebbe il caos.  Infatti, la gerarchia è ovunque, anche nella biologia. Come dimostrano gli studi di Stephen Porges, neuroscienziato americano che ha elaborato la teoria polivagale in ambito clinico, lo stesso nostro sistema nervoso autonomo ha una struttura gerarchica cablata in milioni di anni intercettando pericoli e attivando comportamenti per metterci in sicurezza. Questa gerarchia è attivata da due imperativi biologici: il principio di sopravvivenza e il principio di connessione. Quando prevale l’imperativo di sopravvivenza, noi attiviamo gerarchie difensive che conservano sé stesse e gli interessi particolari dai quali sono prodotte, portandoci a pensare e ad agire in modo divisivo e conflittuale. Quando invece prevale l’imperativo di connessione, creiamo gerarchie che ci aprono alla collaborazione e diventa naturale ascoltarci, collaborare, prenderci cura gli uni degli altri per costruire sicurezza insieme. E la sicurezza reciproca è la premessa per prosperare. Non solo. Il principio di sopravvivenza attiva gli ormoni dello stress, il principio di connessione quelli del benessere, che favoriscono la nostra salute.

Capizzi, applicando per la prima volta questa teoria ai sistemi sociali, illumina il filo che unisce la nostra “gerarchia biologica” (come funziona il nostro sistema nervoso autonomo) e la “gerarchia organizzativa” (come funzionano i nostri sistemi sociali, a partire dai luoghi di lavoro fino all’interazione di sistemi molto più ampi). E questo apre prospettive inedite.

Non morire di gerarchia è il primo libro italiano che parla esplicitamente della gerarchia, dando chiare indicazioni di lavoro per chi vuole costruire gerarchie positive. Come Capizzi scrive, è un libro per esploratori che vogliono contribuire, ciascuno nel proprio ambito, per creare nuovi campi da gioco che coltivino il benessere delle persone, delle organizzazioni e della collettività.

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