Nel 1909, Norman Angell pubblica la prima versione della sua opera principale, intitolata La Grande Illusione. Nel manoscritto, il futuro Premio Nobel per la Pace marchia come infondati i timori, allora molto diffusi, sullo scoppio di un conflitto di proporzioni mondiali. Angell sostiene infatti che l’interdipendenza si è sviluppata a tal punto che nessun governo oserebbe mettere a repentaglio questo sistema di intrecci ed interconnessioni economiche, politiche e sociali, preferendo lo scenario apocalittico di una guerra pressoché totale.
Cinque anni dopo, l’illusione di Angell finirà sepolta, assieme ai cadaveri di altre migliaia di soldati, nelle trincee fangose scavate lungo la Somme, sulle rive dell’Isonzo o nelle pianure galiziane.
Il 24 febbraio del 2022, il vecchio continente si sveglia in guerra. L’autocrazia putiniana ha dichiarato guerra (senza però utilizzare questo termine, a riprova dell’alto grado di innovatività che caratterizza il conflitto in corso) alla teleologia occidentale e alla supremazia democratica. La macchina da guerra russa non travolge soltanto le prime linee dell’esercito di Kiyv, ma anche le certezze che l’Europa ha sul proprio futuro. La grande illusione europea, secondo cui la propria superiorità filosofico-ideologica, tecnologica ed economica avrebbe automaticamente portato gli altri popoli e le altre culture a conformarsi spontaneamente ai suoi standard si infrange contro la minaccia di un olocausto nucleare e contro le immagini provenienti da Bucha, Irpin, Borodyanka.
Come cittadini europei, abbiamo passato gli ultimi 30 anni a rifuggire la realtà, assuefacendosi all’idea della Fine della Storia riproposta da Francis Fukuyama, senza però curarci di andare a vedere quali concetti si nascondessero dietro la superficie del saggista nippo-americano, preferendo invece aggrapparci ad elucubrazioni economico-giuridiche per analizzare, giustificare e talvolta cercare di prevedere la complessa realtà globale.
Per noi il conflitto in Ucraina rappresenta l’inizio della Storia, uno shock estremo che in qualche modo ci forza ad aprire gli occhi e a vedere il mondo per come è, e non per come noi vorremmo che fosse. Una catastrofe in cui, in modo abbastanza paradossale, si cela la nostra opportunità di salvezza.
Il metus hostilis ha sempre rappresentato una delle più grandi energie motrici nel fare e disfare la storia umana. Il timore e la paura del nemico (termine che può essere declinato in innumerevoli modi, a seconda di cosa richieda il contesto) riescono là dove argomenti basati su logica e razionalità falliscono miseramente.
Dopo aver trascurato per anni, forse decenni, tutte le spinte rivolte in questa direzione, all’indomani dell’inizio della guerra russo-ucraina l’Unione Europea ha iniziato a parlare in modo concreto di come sviluppare una propria autonomia strategica e di esercito comune. Ridurre una simile inversione di tendenza a un semplice incremento di spese militari significa affrontare con superficialità una delle questioni fondanti della politica internazionale.
Il concetto di autonomia strategica, assieme a quello di Europa geopolitica promosso da Ursula Von Der Leyen sin dall’inizio del suo mandato, rappresentano la spada che il Leviatano di hobbesiana memoria impugna nella sua mano destra. L’ottenimento del monopolio della forza, principio cardine di ogni autorità statuaria o simil tale, rappresenterebbe tanto la tappa ultima per il perfezionamento del processo di integrazione europea quanto la dimostrazione di una rinnovata capacità di proiezione politica nella sua dimensione esterna. Una vera potenza, capace di agire a trecentosessanta gradi per sostenere gli ideali che incarna, anziché di usarli come arma.
In tutta la sua tragedia, l’Ucraina rappresenta solo un piccolo episodio all’interno di un mondo dominato dalla crisi dell’ordine liberale. Gli anni a venire non saranno caratterizzati da un confronto tra due ideologie contrastanti, nel senso classico per cui noi siamo abituati a concepire la guerra fredda, ma da un tentativo di rivolta contro l’egemonia della democrazia a livello globale. Culture, visioni e sistemi politici diversi (alle volte anche contrastanti) si uniranno nel tentativo di dare una spallata decisiva al sistema internazionale, fondato sui valori occidentali, venutosi a creare come risultato del Secolo Breve.
L’Europa di ieri non era assolutamente preparata a questo confronto, e neanche l’Europa di oggi lo è. Ma ora, davanti ai cingoli dei T-90 di Mosca che in Ucraina calpestano tutto ciò che essa rappresenta, l’Unione prende, o almeno sembra prendere, coscienza di sé e del suo ruolo storico.
E questa coscienza è la chiave del futuro. Se la retorica di oggi si rivelerà essere un pugno di parole al vento e frasi di circostanza pronunciate a puri scopi propagandistici, è molto probabile che l’Europa finirà inghiottita dalla Storia. Ma nel caso contrario, esse saranno il seme da cui nascerà l’Europa del domani. Un seme reso fertile dal sangue ucraino.
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