Nel 2012, in tempi non sospetti, prima cioè della rivolta di Maidan Nezalezhnosti (Piazza dell’Indipendenza) a Kiev, dell’invasione della Crimea e dell’apertura della crisi del Donbass, usciva il libro Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta. Autore ne era Massimiliano Di Pasquale, giornalista, scrittore, direttore dell’Osservatorio Ucraina presso l’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Fu un libro che permise, come dice lui stesso, “di cominciare a conoscere un Paese dimenticato che solo una guerra ha permesso adesso di far conoscere al mondo.
Non un Paese grigio, eredità della Russia sovietica, ma colorato, multiculturale, con tante diversità non in conflitto, un patchwork di etnie e di culture che dialogavano in uno straordinario esempio di tolleranza, un esempio per tutta l’Europa di una nazione multietnica dove le minoranze erano totalmente integrate e facevano parte della cultura nazionale”.
Per questo, dice, “parlare come si fa oggi di nazionalismo ucraino assimilandolo addirittura al nazismo è una falsità enorme”. Negli anni Di Pasquale ha scritto altri libri (questo stesso primo libro sta per uscire in versione aggiornata con nuovi capitoli tra ia quali uno dedicato a un viaggio nel Donbass) che sono fondamentali, in un momento storico di uso a fini militari della propaganda manipolata da una parte e dall’altra, di farsi una idea realistica di come si sia arrivati alla guerra. Ne abbiamo parlato con lui.
L’Ucraina che visitasti nel 2012 che paese era?
In realtà andai in Ucraina la prima volta nel 2004, quando il presidente era Leonid Kuchma, che adottava una politica multivettoriale rivolgendosi un po’ all’Occidente e un po’ alla Russia. Era però un regime molto corrotto, la gente era stanca, tanto che alle elezioni del 2005 vincerà un candidato filo-occidentale, Viktor Yushchenko, che come governatore della Banca centrale aveva fatto molto bene, risollevando un’economia a pezzi. Ricordiamo che quando nel 1991 ebbe fine l’Unione Sovietica, l’Ucraina era in condizioni economiche disperate. Nel 2010 invece vince un candidato filorusso, Viktor Yanukovych, e questo dimostra, nonostante quello che si dice, che in Ucraina è sempre esistita una transizione democratica.
Nel 2014 scoppia la rivolta cosiddetta Euromaidan. Ci sono molti, soprattutto oggi, che sostengono si sia trattato di un colpo di Stato ucraino-polacco orchestrato dagli Stati Uniti e che i manifestanti in Maidan fossero nazisti. Cosa successe davvero?
La protesta nasce il 21 novembre 2013 quando un gruppo di studenti manifesta contro la decisione di Yanukovych di non firmare più un trattato di cooperazione economica con l’Unione Europea. L’Ucraina aveva lavorato per anni per avvicinarsi all’Europa, anche Yanukovych non aveva escluso questa possibilità, poi improvvisamente fa marcia indietro. Il suo regime era estremamente corrotto, lui stesso aveva rubato. Il popolo ucraino si pensava già in Europa, era il modo per avvicinarsi a una realtà più democratica. Fu chiesto un incontro con il presidente, ma questi non rispose, anzi per strada le forze dell’ordine cominciarono a picchiare brutalmente i manifestanti e poi anche a sparare.
Come nasce la narrativa oggi di moda che i manifestanti fossero appartenenti a gruppi neonazisti?
Il Maidan è una protesta civica contro un presidente corrotto e ladro, i manifestanti vedono il loro futuro in Europa e non vogliono tornare sotto il giogo di Mosca. Si può dire che gli ideali della gente fossero liberal-socialisti. La propaganda russa si mette a speculare che in piazza ci siano due partiti di destra, che era vero, ma un conto è essere nazionalisti, un conto essere nazisti. Inoltre erano una minoranza davvero esigua: quando nel maggio 2014 si andrà al voto per le presidenziali i due partiti Svoboda e Pravy Sektor insieme prenderanno meno del 2%. In Italia e Francia i partiti di estrema destra raccolgono molto di più, ma nessuno dice che Francia e Italia sono paesi nazisti! Questo fa parte della tradizione sovietica: chi non la pensa come loro è automaticamente un nazista.
Quindi si arriva all’invasione della Crimea, si apre il caso Donbass proprio quando l’Ucraina cerca di liberarsi dell’influenza russa, due episodi che vengono presentati come la giusta sollevazione della minoranza russofona contro la persecuzione ucraina. Coincidenze?
Se fosse vera questa narrativa, sia nel 2014 che oggi, quando i russi sono arrivati, questa gente avrebbe dovuto accoglierli come liberatori. Invece dopo più di due mesi di guerra non sono riusciti a occupare nemmeno tutto il Donbass. Bisogna analizzare il contesto in prospettiva storica.
Cioè?
In Donbass ci sono ucraini di lingua russa, lo parlano perché sono stati oggetto di russificazione sia in epoca zarista che stalinista. Dopo il genocidio di Stalin, l’Holodomor, che fece più di cinque milioni di morti per fame, l’Ucraina specie all’est fu profondamente russificata, la popolazione fu obbligata a parlare in russo sin dalla scuola.
Molti ucraini che ho intervistato hanno detto che è appunto per questo che è normale anche per loro parlare russo.
Esatto. Quando scoppia il conflitto in Donbass nel 2014 c’è chi dice che il governo di Kiev deve intervenire per fermare i separatisti, altri invece credono ai separatisti armati da Mosca, perché la televisione russa afferma che “se scoprono che nel nostro sangue non c’è sangue ucraino ci uccidono”. È la forza di una guerra ibrida preparata da tempo, che si avvale, tra le altre cose, di un’arma molto potente: la disinformazione. È disinformazione storica dire che russi e ucraini sono lo stesso popolo, che Maidan è stato un colpo di Stato, che la Russia è accerchiata dalla Nato.
Ecco, a questo proposito cosa ne pensi?
Purtroppo anche Papa Francesco in questi giorni ha ripreso questa narrativa, dicendo che l’“abbaiare della Nato alle porte della Russia” ha spinto Putin ad attaccare, è stata “un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”. Ma solo un sedicesimo della intera Russia confina con paesi Nato… L’Ucraina nel 1994 aveva firmato il Memorandum di Budapest con Regno Unito, Stati Uniti e Russia per la tutela dei propri confini in cambio del rilascio dell’arsenale nucleare sovietico. Oggi la Russia la invade: chi ha infranto ogni trattato?
Il segretario alla Difesa americano però ha detto esplicitamente che “la guerra in Ucraina è una guerra americana per indebolire la Russia”. Biden non fa altro che aumentare la tensione, che ne pensi?
Biden a volte fa delle gaffe, però penso si sia mosso in modo accorto senza entrare nel conflitto direttamente, che è quello che vuole la Russia: provocare l’America per farla entrare in guerra. L’obbiettivo di Putin è l’Occidente, non l’Ucraina.
Putin all’inizio, però, era interessato all’Europa e anche alla Nato. Secondo molti sarebbe stato messo in un angolo dagli Usa che hanno sempre voluto eliminare la concorrenza russa dalla leadership mondiale.
Non sono d’accordo. C’era l’interesse occidentale di avere buoni rapporti con Mosca in funzione anticinese. Chi parla di Russia umiliata non ricorda che Bill Clinton e il Fondo monetario internazionale hanno dato fortissimi aiuti alla Russia post-sovietica, nel tentativo di farla diventare una economia di mercato democratica. Quando la Russia economicamente si è rialzata, ha cominciato a perseguire una politica espansionista. L’Occidente è stato ingenuo, si sono sottovalutati i massacri in Cecenia, dicendo che erano questioni interne russe, che Putin fosse un nostro alleato contro l’integralismo islamico. In realtà c’erano tutte le avvisaglie di quello che è successo adesso, basti pensare anche all’invasione della Georgia nel 2008.
Come ha potuto pensare Putin di vincere in cinque giorni una guerra con il più vasto Paese europeo?
Putin ha creduto di vincere facile. I politici russi in questi anni hanno sparso disinformazione a ogni livello per ottenere consenso popolare, ma gli stessi leader russi sono vittime delle loro manipolazioni a livello psicologico. Se dici per anni che ucraini e russi sono lo stesso popolo, quando attacchi pensi davvero che questi si arrendano per liberarsi di nazisti che non esistono. È un percorso storico diverso. L’Ucraina, anche se per un breve periodo, era diventata un Paese indipendente già nel 1919, nel 1991 si dichiara indipendente da Mosca con un referendum dove anche Crimea e Donbass votano a favore. Poi quando i russi invadono si trovano davanti la resistenza di un intero popolo e di un presidente, Zelensky, che invece di fuggire come avevano previsto, rimane e lotta assieme alla sua gente.
Come lo giudichi? C’è chi dice che sia solo un fantoccio in mano americana.
È un personaggio controverso che ha acquisito maturità politica con la guerra. Più che un fantoccio, era legato a certi oligarchi che erano avversari del presidente precedente. Zelensky merita il massimo rispetto, ma se gli ucraini resistono è perché hanno un enorme spirito patriottico, per sconfiggerli i russi devono andare casa per casa. Poi teniamo conto che quell’esercito, che Yanukovych aveva distrutto, è stato ricostruito con gli aiuti occidentali grazie all’ex presidente Poroshenko.
Quindi questa guerra quando potrà finire? C’è chi dice possa finire solo se il popolo russo si solleva contro Putin. Pensi sia possibile?
È la domanda più difficile. Azzardo una considerazione storica. In Russia i cambiamenti avvengono per congiure di palazzo più che per rivolta popolare. I russi sono diversi dagli ucraini, che hanno uno spirito europeo che i russi non hanno. Hanno sempre vissuto in regimi totalitari, gli ucraini invece, dopo la Rus’ di Kiev, hanno avuto il Granducato di Polonia e il Cosaccato, che erano confederazioni o principati in cui esistevano il diritto e forme, seppure embrionali, di democrazia.
Putin accetterà di trattare?
No, è entrato in una spirale in cui vuole vincere a tutti i costi. Anche la sua cerchia di fedelissimi la pensa così, basta vedere quanto il ministro Lavrov usi la stessa ferocia retorica.
(Paolo Vites)
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