Dam, sdam, sdadam. Mia moglie sta pulendo il cesso. Finestra spalancata proprio sul tavolino da giardino/scrivania. Ulisse aperto a pagina 254. Tra poco arriverà il Dyson a trapanarmi le orecchie. Il cervello è già trapanato dalla lettura. Maledetto Joyce. Stramaledetto Celati con la sua così originale traduzione. Sarà fedele all’originale? Al diavolo. Il miglior libro tradotto è un libro riscritto.



E fottuti irlandesi con i loro nomi troppo pieni di consonanti. E fottutissima toponomastica dublinese che qui per seguire l’Ulisse che bruca quadrifogli ci vuole una googlemappa. 

Eppure a Dublino ci sono stato tante volte. Chissà perché ricordo solo Grafton Street e il Trinity College? Momento. Mi torna in mente anche la statua di Molly Malone… Ma sarà la stessa Molly di Mr Bloom? Impossibile. Questa non vendeva molluschi. Semmai ne ha sposato uno. Ostrica, vongola, tellina, cannolicchio. Ma anche un po’ crostaceo e totano, calamaro in eterna fregola riproduttiva.



Ulisse, Odisseo, navigatore d’asfalto e di letto. Inutile tentare paragoni. L’omerico da Troia, il moderno da Troie. Evviva la modernità e quel giorno d’estate del 1904 che racchiude tutti i giorni a seguire. Dieci anni per un ritorno, un giorno per perdersi definitivamente. Odori di mare, tra l’Egeo e Gibilterra. Odori di pesce e profumi di fritto. Rognone, coratelle, fegatini. Sangue grondante dal pacchetto arpionato da un’ascella sudata. E di liquame che sgronda dalle latrine pubbliche. E di malto con cui fanno il Jameson, che al Conad (com’è irish questo nome!) c’è n’è giusto una bottiglia. E allora, almeno finché il Joyce staziona sul tavolo della cucina, abbandono il mio uischi preferito e passo all’irlandese. E di torba che serve l’inverno per riscaldare due vani e mezzo e cesso in fondo al cortile.



Incipit: guerra e cavallo di legno. Cimitero e paltò di legno. Il primo espugna. Il secondo è espugnato. Il ripieno: guerrieri achei e vermi e gas. 

Cammina, cammina Ulisse dalle scarpe strette. Ebreo errante. Circonciso. Curiosità per le femmine. Primo iato tra il passato e il presente: non ci son più calli sul mignolino. Dolori. La modernità ha modificato le scarpe. Ora le fanno larghe. Siamo diventati palmipedi. Questione d’estetica? Non direi. Perfino Shakespeare aveva i calli. Genesi di ogni letteratura. 

Metempsicosi. Parola difficile da spiegare alla Molly ignorantotta. Eppure tutto è lì. Trasformazione, rinascita, altra vita. Ma quale vita? Il desiderio arranca. E che dire dei complessi di colpa? Roba novecentesca. Nulla a che fare con l’Odisseo originale. Dai Proci ai porci il passo è breve. E Penelope non tesse tele, ma s’infila spilli tra i capelli e fa sogni erotici che fanno arrossire anche i più scafati.

Viaggio. Soste. Angolo e incrocio, ponte e giardino, molo e pub. Lutto al mattino perché occorre essere a posto davanti al catafalco dell’amico. Lutto e barzellette. Perché gli uomini stanno dietro e bagolano d’affari o di cose sconce. E sotto il nero sbirciano i fondoschiena e i rigonfiamenti tra le braccia delle donne in prece. Si squaglia la saponetta nella tasca posteriore d’Ulissebloom.

È partito il naviglio al passo della processione funeraria. Deve fare il periplo di ogni sconcezza, che la morte mette in evidenza come all’impiccato, si dice, scappa l’eiaculazione. Tanta morte e tanta vita per chi resta. Perché è tutta questione di punti di vista. E quello “vede crescer le margherite dalla parte delle radici”. Vento in poppa dunque che basta poco per beccheggiare e farsi venire il vomito. 

Naviga Bloom, marinaio traditore con la moglie traditora. Piede nient’affatto marinaro, che sta sempre un passo indietro. E che cavolo di esploratore sei se semplicemente accosti? Altro che folle volo!

Mappa d’una vita interiore: cuore, materia grigia, colon, intestino tenue, liquido seminale, saliva, lacrime, sangue, umori sconosciuti, moccio, ghiandole varie, forfora buona da mangiare (ma questa sta fuori), ossi, midollo degli ossi, fegato, corate, coratelle e coratine…

Mondo esteriore: farmacia, stazione delle carrozze di giorno, pub, redazione del giornale, bordello buono, bordello infimo, parco, porto, molo, chiesa, cimitero, muro del Trinity College, muri vari, casa, giardino di casa, cucina di casa, camera da letto, letto, donne di ogni forma e odore, parti intime di ogni donna, avvicinamento al suo mondo interiore, fermo sulla soglia come un cucù, stazione delle carrozze di notte, campanile, campane, suoni, racconti di terre lontane, gioco delle corse, lettere, francobolli, poste, fiume, lungofiume, Aristotele, San Tommaso, San Patrizio, Shakespeare, la Torah, e ogni genere di pensiero e contropensiero… Tutte cose già dette e scritte da critici e analisti.

E Bloom accosta. Ci sarebbe da tuffarsi dentro fino al gargarozzo, squassare, snasare, annotare. Lui accosta. Accosta l’amante da cartolina postale che non ha neppure parole adeguate e tergiversa e poi nemmeno imbuca. Accosta la moglie zoccola. Accosta l’amorino improvvisato e zoppicante con uno slancio autoerotico. Accosta la politica, la poetica, l’estetica, l’etica, la linguistica, perfino la musica. Nell’arte cerca l’eros. Nell’eros cerca il sonno. Letto, branda, cuccia, talamo. Posizione orizzontale. È un modo di vedere il mondo. Ma si può conoscere il mondo a suon di sveltine? “Letto d’amore, letto di parto, letto di morte”. 

Accosta Bloom l’umanità che si sviscera intorno. Ceffi e controceffi. Amici e falsi amici. Damine, vedove, ragazze, bambini, orfani, scaricatori, strilloni, pescatori autorizzati e pescatori di frodo. Giocatori d’azzardo in cerca di nomi buoni per la corsa di martedì. Che si tengon stretta la dritta e non si fanno sgamare per nessun motivo. Perché almeno una volta nella vita si vince e poi si perde tutto. E poi via, sottoterra, con mutuo soccorso. Perché la regola è questa: tutto può fare l’uomo tranne che seppellire se stesso. È il mito paraplatonico di Robinson Crusoe: “Bene, allora l’ha seppellito Venerdì”. Dal caso particolare la regola: “ogni Venerdì seppellisce un Giovedì, se ci fate caso”. Bloom, non puoi scappare dalle regole ferree.

È questa la chiave della vita. E Ulissebloom di chiavi se n’intende. Genio della pubblicità ha un’idea fissa in testa. Keyes è il padrone, key l’idea. Sopra il nome e sotto il gioco di parole. Ma non si vendono chiavi, ma alcolici, vino e tè. Manifesto e quartino stampato su chissacheccavolo di giornale. Geniale? Tienti stretto l’idea, che le chiavi di casa le hai dimenticate e ti tocca scavalcare il cancello se vuoi entrare. (Figuriamoci Odisseo che ha perso le chiavi della sua Itaca).

Verità discendente: “Se ci passano le mani è un cancello, sennò è una porta”. Vuoto e pieno. “La natura aborrisce il vuoto” perché non sa che farsene. Per Dio invece è materia prima. Ma tu caro Bloom sei un mezzo pieno, ovvero un mezzo vuoto. Il peggiore di tutti. Chiamalo tiepido. Dio odia i tiepidi, perfino nel peccato. Né freddo né caldo. Puah! E il tiepido non naviga. Brancola. Bravo Joyce: “Questa è un’epoca di stremata puttaneria che brancola alla cieca in ricerca del proprio dio”.

Ma quale autocoscienza… sei tale quale al tuo omologo triestino Zeno Cosini che volendo smettere di fumare gira in tondo con la sigaretta accesa o l’asburgicomusiliano Ulrich che volendo abolire la realtà diventa incestuoso e fa delle sue amanti una scappatoia per nascondersi dietro il cesso.

Sesso, sessualità, genitalità, eros, slurp, slap, ohhhhhhh: ma è un’ossessione! Veleggiata in zone erogene. Attracco. Salpa l’ancora. Cime, nodi marinari. Nodi scorsoi. Sogni. Isteria. Psicopatologia della vita quotidiana. È Freud che incombe sul Novecento? Prego stendersi sul lettino dello ssssicanalista. Si rilassi. A me gli occhi. Ipnosi. 

“Ulisse 1904” navigatore della memoria: infanzia, padre, padre morto (ucciso), madre, complesso d’Edipo, desiderio di possesso di mammà, senso di colpa. Tutto fuori! tutto fuori! tutto fuori! Chiavi dell’inconscio. Key. Processo che porta “dall’ignoto al noto, passando attraverso l’incertezza del vuoto”. Ed ecco il risultato: il trionfo di Onan.

Fuori le mani dalle tasche, mister Bloom! Brutto segno. Sembri bighellonare e le dita sono troppo vicine alla tua coscienza. Altra cosa che non s’insegna più. Anzi almeno una mano nella tasca fa figo. Segno di superiorità, di rilassata alterità un po’ tamarra.

Povero Ulisse che cercando terra incontra solo fake news e a tutto crede. Sirene. Povero Ulisse: “Tu credi di scappare e vai a sbattere contro te stesso. La via più lunga per andar via è quella corta per tornare a casa”. Ecco il tuo mare. Una spirale, come lo zampirone, che si consuma ammazzando le zanzare e avvelenando un poco anche te.

Meglio la tua signora Penelopemolly. Baldracca, sì. Ma con due spine nel cuore: il dolore per un figlio perso e il ricordo di averti detto un giorno, sedici anni fa, sì. Se tu accosti, lei affoga. Nella sua parola sempre repressa perché lei non è intelligente. Nelle fantasie dell’eros. Nel desiderio di libertà. Nel ricordo. Nella possibilità di allora e nell’impossibilità di adesso. Nel tuo grugnito notturno. Nel tuo odore. Nella consapevolezza di sapere tutto di te. E di far finta di nulla passando pure per una povera scema. Della tua intelligenza da settimana enigmistica. Perché lui è “uno che non riesce mai a spiegare le cose nel modo più semplice che si possa capire e poi brucia il fondo della padella tutto per il suo rognone”. E poi bla bla bla sulla pubblicità, sugli affari e sulle sfighe che è sempre colpa di qualcuno. 

In fondo è lei la grande esploratrice degli universi. Quello matrimoniale, innanzitutto. Il grande naufragio novecentesco. Quello che attiene al maschio e alla femmina e alle parole che vi sottendono. Anzi: che lo dicono. Perché anche i fiumi, e non solo per capriccio della toponomastica, sono maschio e femmina. Il Tamigi e la Senna. Il Danubio e la Sprea. Il Rodano e la Liffey.

Molly vestale. Molly strega. Molly placenta. Molly parola, parolaccia. Molly mutande. Molly seni grandi. Molly infoiata. Grande zoccola ugola stonata della natura che urla maschio e femmina. Beata la lingua che non conosce il neutro. Che le civiltà, sul neutro, cadono.