Un ponte di musica – Itinerari dell’Opera italiana in America (a cura di Claudio Orazi) –  Zecchini Editore 2020, pp. 262 €20; in italiano con testo a fronte inglese) è un bel libro che potrebbe essere, se si è ancora in tempo, una strenna per l’Epifania tanto è elegante e ben illustrato ma che può essere in qualsiasi momento un libro di grande interesse per chi è appassionato di musica.



Il libro racconta al tempo stesso una storia ed un’avventura. La storia, articolata in otto saggi (meglio sei saggi e due «testimonianze» (di Frank Alfieri e Martin Scorsese), è quella dei percorsi dell’opera italiana nelle Americhe. I lavori riguardano essenzialmente l’opera italiana negli Stati Uniti, ma uno dei saggi tratta in particolare del compositore brasiliano Gomes e della sua opera principale e più nota. L’avventura, che, a mio avviso, ha avuto un successo superiore alle aspettative, è stata il processo di internazionalizzazione del Teatro Lirico di Cagliari, quando era guidato da Claudio Orazi) di co-produrre opere – da quelle più note come La fanciulla del West di Puccini a quelle meno note come La campana sommersa di Respighi a vere rarità come il pastiche L’ape musicale di Da Ponte, novità come La ciociara di Tutino-con grandi teatri americani come la San Francico Opera, la New York City Opera, e la Carolina Opera a Charlotte.



Cominciamo dall’avventura. Dopo essere stato sovrintendente della Macerata Opera, dell’Arena di Verona e del Teatro Verdi di Trieste, Claudio Orazi è approdato a Cagliari, il cui Teatro Lirico, dopo avere avuto una fase di fulgore quando nel primo decennio di questo secolo presentava ogni stagione la «prima» italiana di un’opera nota ma mai messa in scena, sembrava avere perso il proprio lustro. Alla guida di un teatro in un’isola di un milione e mezzo di abitanti, era importante avere un progetto che attirasse pubblico e critica anche «dal continente» e non presentasse solo opere note «di repertorio». Il «ponte» con l’America fu la chiave: co-produrre con teatri americani per dimostrare quando l’opera italiana (e con essa la cultura italiana) avessero inciso nel plasmare la cultura americana. A mio avviso, un indicatore del successo è che la co-produzione de La fanciulla del West è stata applaudita in una decina di teatri dalle due sponde dell’Atlantico. L’avventura, però, è durata solo tre anni e non si sa se il mondo dei teatri lirici nell’epoca post-pandemia consentirà di riprendere l’esperimento.



I saggi riguardano i libretti d’opera come veicolo per la diffusione dell’italiano nel mondo (Paolo D’Achille), Lorenzo Da Ponte e l’élite culturale newyorkese (Barbara Faedda), Lorenzo Da Ponte e L’Ape Musicale di New York, opera manifesto della missione culturale italiana in America (Francesco Zimel), Puccini e la Nuova Frontiera: La fanciulla del West tra Italia e California (Emanuele Senici), musica nel Nuovo Mondo- Ottorino Respighi negli States (Marco Targa), Che siam tutti fratelli, costruzioni identitarie ne Lo schiavo di Gomes (Ignazio Macchiarella). Basta questo breve indice per indicare sia la ricchezza del volume sia come il libro non sia d’interesse solo per musicologi ma per tutti coloro – e sono numerosi – che vogliono scoprire un aspetto importante, anche se poco noto, del ruolo della cultura italiana nelle Americhe dal Settecento alla prima metà del Novecento.