I romanzi dedicati all’industria, al lavoro, alle fabbriche costituiscono un ramo non secondario della letteratura sia del secolo scorso, sia dei primi anni di questo millennio. Autori importanti come Italo Calvino, Paolo Volponi, Franco Fortini, Ottiero Ottieri hanno dedicato parti rilevanti delle loro opere al mondo dell’economia, in particolare nell’ambito dei rapporti umani e sociali e degli scenari di quella che è stata per lungo tempo una lotta di classe.
In queste opere, ogni autore con la propria visione, viene messa in luce la grande trasformazione che il mondo del lavoro ha attraversato. Prima con il passaggio del lavoro agricolo a quello industriale, poi con il progressivo modificarsi della dimensione della fabbrica con la crisi delle grandi imprese e parallelamente quella del sindacato.
Gli ultimi anni, soprattutto in questo secolo, è avvenuto un ulteriore significativo cambiamento: l’ingresso in fabbrica degli immigrati, all’inizio per compiere quei lavori che i giovani italiani non vogliono più fare, ma sempre più spesso in posizioni importanti ed essenziali per il ciclo produttivo.
A prima vista, dalle prime pagine, il romanzo di Marilena Lualdi, giornalista e scrittrice, potrebbe sembrare un libro sugli immigrati. Iniziando dal titolo L’ultimo dei Fuasté (Edizioni progetto cultura, 2024). Fuasté nel dialetto dell’altomilanese vuol dire infatti forestiero, un estraneo rispetto alla vita normale e tradizionale. E un immigrato, Malik, si incontra subito con tutta la sua identità fatta di povertà e di disagio, ma anche di ricerca e di buona volontà.
Ma il vero protagonista, che lentamente diventa l’ultimo forestiero, è Mario, un piccolo imprenditore come ce ne sono apparentemente migliaia nel panorama industriale italiano fondato proprio sulle piccole imprese. Un imprenditore alle prese con le difficoltà del mercato e con la necessità di inseguire affannosamente l’innovazione, ma che nonostante tutto non solo non perde la sua umanità, ma proprio nell’affrontare i problemi e praticando la solidarietà riesce a portare a galla i valori più profondi dell’umanità.
Come scrive l’imprenditore Michele Tronconi nell’introduzione: “Mario si sente forestiero nel suo Paese: “I fuasté ormai siamo noi”. Lo pensa mentre alla sera, stanco, guarda alla televisione i barconi che arrivano sulle coste di Lampedusa. Di qui si dipana il romanzo con una serie di eventi drammatici, perché troppo reali, ma anche ironici e surreali, per questo capaci di gettare un seme di speranza”.
Il libro di Marilena Lualdi, anche per la sua prosa accattivante, può così essere considerato un nuovo romanzo industriale. La fabbrica, l’azienda, i bilanci sono tuttavia dei comprimari, importanti ma soprattutto perché permettono di mettere in risalto il fattore umano, il valore della persona, quei buoni sentimenti che sono una testimonianza e un invito alla riflessione.
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