Sono approdate su Netflix due interessanti serie tv su Unabomber: Manhunt: Unabomber e Unabomber in his own words. Non una bella notizia per Ted Kaczynski – alias Unabomber –, il brillante matematico che tenne in scacco l’Fbi dal 1978 al 1996. Già, perché Unabomber aveva teorizzato la fine della società industriale e considerava l’industria dell’intrattenimento la sua colonna portante. La sua critica radicale trovò espressione in un Manifesto di 35mila parole battuto a macchina senza il minimo errore, intitolato La società industriale e il suo futuro. Una sorta di eco-delirio che gode ancora di un importante credito negli ambienti dell’ecologia radicale.



Kaczynski sta scontando un ergastolo in un carcere di massima sicurezza per gli attentati che causarono 3 decessi e 23 ferimenti gravi. La sua vita aveva iniziato ad andare a rotoli precocemente, in linea con la sua precoce (presunta) intelligenza. Le pagine dei suoi diari ritrovati dopo l’arresto raccontano di un bambino spaesato che “un idiota di ispettore scolastico” aveva promosso alla classe successiva, per via dello straordinario quoziente intellettivo. David Kaczynski, il fratello minore di sette anni che gli fu sempre affezionato, ricorda che Ted non aveva amici: “passavano mesi senza che nessuno gli facesse visita”. Una situazione che la famiglia idealizzava come il suo essere proiettato nel futuro luminoso che la condizione di genio gli avrebbe riservato.



Tuttavia, un brutto ricordo ha sempre turbato la madre Wanda. Il figlio di non ancora due anni venne ricoverato per delle ricorrenti eruzioni cutanee, ma quando tornò a casa non era più lo stesso, era rigido, non sorrideva e non concedeva più lo sguardo. Fu necessario molto tempo perché acquisisse nuovamente fiducia nei genitori, ma il sospetto che fosse affetto da autismo infantile restò. Privo di vita sociale ma scolasticamente iperperformante, a 16 anni Kaczynski venne accettato ad Harvard, dove si laureò in matematica. Da matricola aderì a un esperimento psicologico che durò tre anni, orchestrato dall’Università in collegamento con la Cia. Si trattava di esperimenti oggi noti come “interrogatori potenziati”, ovvero delle autentiche torture psicologiche.



Seguì il periodo alla University of Michigan, dove insegnò per tre anni, mentre annegava nell’angoscia e nella rabbia verso se stesso. Nel diario scrive di una ragazza con cui aveva parlato in biblioteca, sarebbe voluto uscire con lei, ma non riuscì mai ad invitarla. La frustrazione lo opprimeva pesantemente. Per settimane annota fantasie erotomani dove denigra le donne, altre dove vorrebbe essere una ragazza, in altre ancora dichiara che vorrebbe cambiare sesso. Decise di consultare uno psichiatra, ma all’ultimo non gli parlò dei suoi fantasmi erotici. Chi ha studiato a fondo le carte esclude che Kaczynski soffrisse di “disforia di genere” e fosse, all’opposto, ipermascolino. Termine che traduco come mancanza di una qualsiasi apertura all’apporto di altri, aiuti clinici inclusi. Agli esordi del delirio eco-criminale di Unabomber troviamo un sogno cruciale: sogna che uno psicologo lo vuole convincere che è malato e deve curarsi, sentimenti di rabbia e vergogna lo travolgono e ricorre alla violenza uccidendolo. Nel sogno prova un senso di liberazione, così nei giorni successivi annota: “allora mi sono detto, perché non uccidere realmente lo psichiatra e tutti quelli che odio?”

Nel frattempo, il diario informa che la rabbia di Ted ha fatto un salto di qualità passando dall’odio per qualcuno all’odio per tutti, a prescindere. “Dall’odio per la nauseabonda famiglia”, “all’odio per la nauseabonda società”, quel genere di odio che lo psicoanalista Giacomo Contri ha classificato come odio logico.

Siamo nel 1966, tre anni dopo, a 27 anni, Ted Kaczynski rassegna le dimissioni dall’università consegnandosi a nove lunghi anni di eremitaggio perverso. Il rifugio dove rimugina sulla distruzione della società (industriale potrebbe essere ininfluente) è un minuscolo capanno nel Montana senza acqua né elettricità, dove vive di caccia e raccolta, fabbrica bombe e sistematizza la sua filosofia eco-terrorista. Negli ordigni Unabomber lascia la sigla F.C.: “Freedom Club”, uno degli abili depistaggi alle indagini che favorirono la sua lunga latitanza. Unabomber non appartenne mai a nessun “club”, e mai riuscì a “fare i conti” con la sua patologia individuale (cioè sociale, come insegna Freud). Lo stesso Manifesto si può considerare un depistaggio, prima di tutto rivolto a se stesso: una sublimazione della patologia nella teoria. Lo scopo dell’operazione (inconscia) è annullare l’angoscia, l’onesto (ma non valorizzato) prodotto della ditta individuale Ted Kaczynski.

La nascita di Unabomber coincide con la morte psicologica di Ted, quando all’improvviso abbandona gli appuntamenti con lo psichiatra per inforcare la via criminale. In quei giorni – non ancora venticinquenne – nel diario annota: “come una fenice risorgo dalle ceneri della mia disperazione con una gloriosa nuova speranza”, che egli affida completamente alla vendetta. “Io ucciderò ma cercherò di evitare di essere scoperto per poter uccidere di nuovo”. La metafora della fenice da lui utilizzata corrisponde perfettamente alla diagnosi di schizofrenia paranoide che gli è stata attribuita nel corso degli anni. Il senso è il seguente: Ted Kaczynski prende definitivamente congedo da se stesso per sublimarsi nella dimensione gloriosa del personaggio Unabomber: il serial killer per il quale l’omicidio non è altro che un’operazione ecologica.