Qual è la caratteristica della persuasione nell’ambito politico? Umberto Eco, richiamandosi a una lunga tradizione che riporta ad Aristotele, ha discusso la questione nell’ambito del discorso deliberativo, cioè del discorso che deve convincere il pubblico a fare o non fare una cosa, o aderire o no ad una idea. In realtà la questione è più complessa perché accade solo nel mondo ideale a cui pensa Eco, dove l’uditorio che deve essere persuaso sia tutto l’uditorio possibile.



Nel panorama politico attuale invece, come le ricerche più recenti hanno dimostrato, l’uditorio è già a grandi linee schierato e rimane solo una parte di incerti che deve essere persuasa. Nel caso di elezioni è proprio questa parte quella che deciderà il vincitore (così è stato in Usa o in Italia) e una parte che può cambiare opinione rapidamente. Il problema per la persuasione politica è dunque come sia possibile persuadere l’elettorato degli incerti senza al tempo stesso violare l’accordo vigente con coloro che già hanno deciso.



A queste premesse possiamo aggiungere che esistono due strade cognitive che portano alla persuasione, una centrale e una periferica. Quella centrale è attenta al contenuto degli argomenti e ha come prerequisito da parte dell’uditorio la motivazione e la capacità di elaborare le informazioni. Quella periferica si ha invece quando l’uditorio non ha idee chiare sul contenuto e quando decide di aderire al messaggio sulla base di fattori esterni ai contenuti del messaggio. La prima è stabile ma ha bisogno di tempo, la seconda è instabile ma rapidamente redditizia.

A questo punto sorge naturale un quesito. Quale di queste due strade verso la persuasione verrà percorsa dalla comunicazione politica? Il problema è come combinare la comunicazione fra quella parte dell’elettorato che in qualche modo ha già scelto e che non modificherebbe le proprie scelte e la parte nuova che deve essere conquistata, una parte limitata ma decisiva nell’equilibrio fra le parti. Da un lato si tratta di non violare il quadro di aspettative, la narrazione e le metafore che la base consolidata condivide. Tuttavia l’uditorio più importante è l’altro, che forse può aderire a una parte di quella narrazione, ma non a certi elementi, che può essere dubbioso su certi miti, che non vuole essere identificato con quei luoghi comuni. Il politico dunque si rivolge a un uditorio specifico quando parla a quella parte che già condivide la sua narrazione, non sa letteralmente a chi rivolgersi quando deve persuadere la parte degli incerti.



Bisogna ricordare che i concetti non si muovono in maniera casuale all’interno della mente. Alcuni sono “legati insieme” perché collegati nell’esperienza. Tale spazio cognitivo è ciò che è stato chiamato frame, cioè uno spazio coerente nella nostra elaborazione concettuale. Il concetto di frame serve per analizzare molte questioni semantiche. In particolare, alcune distinzioni nel significato delle parole riguardano proprio la differenza di frame. Per esempio alcuni concetti sembrano denotare la stessa cosa ma riguardano un frame differente. In inglese land (terraferma) e ground (terreno) denotano ciò che sembra essere la stessa cosa ma su sfondi diversi: land descrive la superficie asciutta della terra in contrasto con sea (mare), mentre ground descrive la superficie asciutta della terra in contrasto con air (aria). Altri esempi sono flesh e meat. In inglese si applica un tipo di distinzione fra la carne umana e la carne commestibile che la lingua italiana non fa, utilizzando il termine carne per entrambi i concetti. Un fenomeno rivelatore di un tipo di concettualizzazione diversa che contraddistingue la cultura germanica da quella romanza in un settore così delicato come quello del rapporto uomo-cibo-animali. I frame sono alla base della comprensione del mondo che ci sta attorno e costituiscono una parte essenziale delle strutture cognitive con cui pensiamo. Potremmo dire che un luogo comune è una specie di sottoframe. Un’area concettuale, ma anche una narrazione particolare, condivisa, che richiama immediatamente alcune coordinate comuni e contribuisce a creare un quadro di riferimento più ampio. Umberto Eco considera i luoghi comuni una degenerazione della retorica politica perché sono opinioni diffuse che non lasciano spazio alla riflessione. In realtà essi poggiano sulla necessità cognitiva di poter interagire con la realtà in maniera rapida ed efficiente.

Abbiamo due tipi di luoghi comuni. I luoghi comuni generali sono delle costanti generali in cui tutti coloro che appartengono a una cultura possono riconoscersi. Sono il risultato di una elaborazione nel corso del tempo che si è sedimentata e ha costruito una cornice. Queste cornici sono narrazioni condivise che permettono di riconoscersi a chi appartiene a quella comunità. Esistono poi luoghi comuni locali, che appartengono invece a un determinato gruppo sociale, culturale o politico. Questi possono essere coerenti con quelli generali ma non necessariamente. In qualche maniera sono secondari rispetto a quelli generali, ma in certe epoche possono risalire fino alla superficie e giocare un ruolo primario mettendo in crisi il sistema generale.

Un esempio italiano è la coesistenza fra i loci dell’unità della nazione e quelli delle patrie particolari. Una dialettica presente fino dall’unità d’Italia che è andata acquisendo un valore del tutto particolare che tendenzialmente mette in crisi l’idea stessa di unità nazionale formatasi nel corso dell’Ottocento. L’Italia ha poggiato almeno centoquarant’anni su un frame condiviso da tutte le componenti politiche che ridefiniva all’interno del concetto di unità nazionale le varie differenze regionali. È il racconto del Risorgimento italiano che è divenuto la base per tutte le letture dell’italianità dal diciannovesimo secolo alla fine del ventesimo. Ciò ha permesso di tenere assieme valori molto diversi e non è un caso che si tratta di un frame che è stato utilizzato nel Risorgimento italiano, durante il fascismo e nella guerra civile dopo la caduta del fascismo. Il frame unitario è entrato in crisi alla fine del secolo scorso sulla spinta dei movimenti politici autonomisti, riportando alla luce le narrazioni locali e ridisegnando la storia italiana come era conosciuta fino a trent’anni fa. Possiamo chiamare i due frame unità nazionale e patria locale. All’interno del primo frame diversità venivano ripensate in termini di somiglianze. Nel frame “patria locale”, al contrario, i tratti simili vengono relegati sullo sfondo e vengono sottolineate le diversità. Le conseguenze ovviamente sono anche politiche. Ad esempio nel frame “unità nazionale” non è concepibile un programma che preveda l’autonomia fiscale, in quello “patria regionale” l’autonomia fiscale è soltanto la manifestazione di una differenza reale.

L’esempio appena fatto ci dice che un frame locale, appartenente originariamente a un piccolo gruppo, può diventare patrimonio condiviso e mezzo di persuasione politica. Alcuni concetti che definivano un insieme di valori e di credenze vengono progressivamente spostati in un contesto che ha alcune caratteristiche simili a quello precedente ma si differenzia profondamente per altri aspetti. In altri termini, si tratta di un’operazione che ridefinisce il frame e con esso un insieme di comportamenti accettati.