A distanza di quasi due anni dalla sua morte improvvisa, causata da un gesto efferato, il ricordo di don Roberto Malgesini (1969-2020) affiora intatto, palpitante e reale, nelle pagine di un libro. Nessuna nostalgia trapela dal racconto che delinea la fisionomia del sacerdote di Como ucciso il 15 settembre 2020 per mano di un immigrato tunisino e che era noto per aver sempre espresso una straordinaria predilezione per le persone più sole ed emarginate, abbandonate a sé stesse, segnate da sventure che in molti casi finiscono col moltiplicare il carico di errori e di disagi, di emarginazioni profonde.



La nostalgia, nelle pagine che lo tratteggiano, è allontanata dall’evidenza di un’esperienza vitale nell’oggi, impressa nelle esistenze che sono state accolte e comprese, toccate dallo sguardo del “prete amico” capace di schiudere l’orizzonte di una speranza nuova che, pur trafitta dal dolore, non è mai più scomparsa.



Così è accaduto a Zef Karaci, autore del libro Don Roberto Malgesini. Vai e prendi loro per mano (Cantagalli 2022), che avvia la narrazione partendo dal proprio travaglio umano: l’approdo in Italia appena diciassettenne, dopo una rischiosa traversata su un gommone partito dalla costiera albanese di Valona, e il sogno di un futuro promettente che deragliò rovinosamente fino a condurlo alla reclusione nel carcere di Como. Zef non può fare a meno di riversare sulla carta il passaggio esistenziale che lo trasse fuori dalla “selva oscura” del male che covava nel suo cuore, della rabbiosa delusione per il fallimento di ogni promessa: l’incontro con una volontaria di Comunione e Liberazione farà scoccare la scintilla di un desiderio mai provato, la scoperta di un bene che, con sorpresa, ha avvertito rivolto proprio a lui. “Per la prima volta, coglievo su di me uno sguardo senza alcun pregiudizio… Mi aggrappai a quello sguardo e a quel bene, nuovi per me, nuovi ma sconvolgenti. Forse era quello che stavo aspettando”.



Sarà questo l’inizio di un profondo cambiamento e dell’adesione sempre più convinta alla fede incontrata attraverso il carisma suscitato da don Luigi Giussani: per Zef, alla luce della fede in Cristo vissuta nella quotidianità,  tutto diventa motivo di scoperta e di cambiamento, persino le angustie della reclusione oltre le sbarre, sono occasione di condivisione, di impegno nel riconoscimento di una Presenza che riempie le ore, di un infinito che non teme più il limite, il male, e neppure la morte.

Ma la lucida percezione della totale novità incontrata, che resterà sempre un faro, non escluderà la fatica e il dolore causato dall’incrinarsi dell’amicizia che l’aveva introdotto nell’esperienza della fede. Proprio quel frangente sarà l’occasione per conoscere meglio don Malgesini, la sua straordinaria umanità: “Don Roberto, in quel momento di ‘crisi’, mi fece una grande compagnia, mi stette molto vicino e, in quelle poche volte che potevamo incontrarci, non smetteva di dimostrare il suo affetto nei miei confronti, la sua costanza mi faceva capire che c’era, che potevo contare su di lui…Comprendeva il mio dolore, il mio smarrimento e la mia voglia di ricominciare a vivere all’altezza del mio desiderio”.

Da questo primo approccio inizia un dialogo ininterrotto, un confronto serrato su argomenti diversi, spesso sulle domande brucianti poste dalla vita fatta di precarietà e paure, di male e limite, ma anche di aneliti infiniti e approdi decisivi alla verità, alla realtà di Dio venuto ad abitare in terra. E proprio sulle domande ultime, sul senso di tutto, sul rivelarsi del divino nel tempo le conversazioni scorrono mettendo in luce un cambiamento di vita, di pensieri, atteggiamenti, attese e scelte: “…basta intercettare la Sua presenza nel quotidiano, nella realtà, nelle semplici cose che fai, che a volte sembrano banali, ma lì c’è Lui. Proprio come è capitato a te, caro Zef. Tu l’hai trovato qui in carcere, dove sembra impossibile incontrare Cristo, dove tutto esprime il contrario. Invece no, Lui accade qui, si incarna attraverso semplici incontri, attraverso una persona come è successo a te…”: è la risposta che don Malgesini suggerisce a Zef che gli aveva domandato come seguire Cristo e come riconoscere la propria vocazione.

Nell’intreccio di confidenze e riflessioni che scorrono nel racconto “si viene accompagnati dolcemente per i sentieri di una vita, partendo dall’Inferno del peccato e salendo al Paradiso della Grazia di Dio” – nota il vescovo di Como Oscar Cantoni nella prefazione –. All’inizio sembra difficile il cammino, difficile perché è la storia di un altro uomo… Poi ti accorgi che in realtà Zef ti sta accompagnando sì, ma sui sentieri della tua vita. In un mondo dove tutto è di corsa, vieni condotto a ripercorrere con calma il tuo percorso di vita, e ad incontrarvi Dio”. Incontrare don Roberto per molti è stato come dare del tu a Dio e, in Lui, scoprire il proprio volto e il proprio valore.

Non è da tutti saper raccontare la vicenda del prete distante da microfoni e telecamere, incline ad ascoltare più che a parlare, sempre pronto a intercettare il bisogno degli “invisibili” confondendosi fra loro: Zef Karaci si è lanciato nell’impresa con l’entusiasmo del proprio vissuto, forse presumendo che, in fondo, solo dalla storia di un’amicizia vera avrebbe potuto affiorare, in qualche tratto reale, don Roberto Malgesini, l’efficacia dirompente del suo agire umile, la sua umanità semplice e profondissima.

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