Un mese fa, un’amica mi ha suggerito di proporre un mio manoscritto a una casa editrice che pubblica con la logica del crowdfunding. Il criterio è questo: se la tua proposta supera la selezione di redazione e viene preordinata in “n” copie, allora il libro verrà stampato, pubblicato eccetera… (lo stesso criterio usato da tempo da giovani start-up in cerca di fortuna).
Preso nota, ho comunque pensato che questa logica del crowdfunding fosse abbastanza nuova, e magari applicabile alla vita di tutti i giorni. Quella in famiglia.
In bagno, tre ore dopo, ho realizzato che in realtà non era poi così nuova: a casa mia è in vigore tutti i lunedì, da vent’anni. Io – tutti i lunedì dopo colazione – grido: “Chi ha qualcosa da lavare?!?”. Tutti rispondono con un’altra domanda: Chiaro o scuro? Bianco o colorato? Qui parte la campagna di raccolta. “Voi mettete tutto, poi io divido e decido”; dopo mezz’ora abbraccio la pilaccia più alta e faccio partire un lavaggio. Al posto di soldi, raccolgo magliette sudate.
Lo scorso week-end ho proposto una gita in montagna, ma a parte il marito, non ha aderito nessuno. Un qualche figlio dissidente ha concluso: “Bene, non c’è la maggioranza, allora non andiamo”. Lì mi sono opposta. Se propongo io una campagna è ben diverso! Io che peraltro – la sera prima – mi ero spesa per intavolare una cena a base di tortelli verdi fatti a mano, solo perché a grande richiesta tutti ne avevano voglia. “La famiglia non è una democrazia – ho protestato – e del quorum… parliamone”.
Lì ho capito che la logica del crowdfunding non è affatto applicabile ovunque. La raccolta di prenotazioni va bene per quei dannati oggetti tecnologici che ti arrivano a casa dopo un anno e nessuno userà mai, o al massimo per i rigatoni quando sono ancora lì che bollono e tu sei indecisa se condirli con il ragù o il pesto. Ma in famiglia è una legge spietata senza senso. Laddove la moneta è solo virtuale e fatta di servizio e gratuità, ogni campagna è a fondo perduto. Intanto la montagna è passata con due adesioni su cinque.
Quanto al libro, anche il libro per ora ha passato la selezione. Tipo i massaggia-pancetta che ti fanno dimagrire in tre notti o le seggioline da spiaggia che a sera ripieghi a origami. Come andrà a finire, si saprà solo tra parecchi giorni. La campagna è in corso.
Guarda caso, il libro parla di famiglia, una famiglia fotografata all’ora di colazione. Un occhio di bue puntato su questo momento del giorno, racconta la storia di genitori e figli, in set che spaziano tra l’albergo, l’aereo, il bar, la strada, la casa. Il titolo – “Ventinove Colazioni” – sta a indicare ventinove fette di vita: imprevisti di stampanti che non partono e sveglie soffocate nel piumone, routine a guardare l’app-meteo e a firmare votacci last minute, caffè troppo freddi sull’aereo e bagni occupati peggio di un duplex anni Settanta. Varianti di colazioni a letto, con l’ospite, sul terrazzo; in hotel super lusso o a fianco di un barbone. Nessuna ricetta, ma una mappa di retroscena familiari, divertenti, emozionanti, che lasciano intuire cosa darà sapore al resto del giorno.
Qualcuno mi ha domandato perché tanta affezione per la colazione: per cominciare, rispetto agli altri pasti, è esente da polemiche: nessuno che si lamenti di patate troppo bruciate o dica “Come, ancora pasta al pesto?”. Poi: chi fa colazione – all’interno di un regime dietetico – dimagrisce il 28% in più di chi la salta. È come andare in palestra, con la differenza che non sudi e resti a casa. Al caldo. Seduto comodo. A intingere le gocciole nel caffè.
Inoltre, appena prima di colazione non arriva mai una suocera a sorpresa da far accomodare a tavola. È l’unico pasto suocer-free.
Il crowdfunding darà i suoi frutti, ma bisogna smuovere la pianta. In fondo, è come il primo caffè del mattino: quando metti il cucchiaino di zucchero nel caffè, lo devi girare altrimenti resta amaro; così è la vita: per darle sapore dovete muovervi, altrimenti a stare fermi non succede niente.
Un atlante dedicato a tutti quelli che saltano la colazione, perché non sanno cosa si perdono.