In cammino, immerso da sempre nella ricerca della propria origine c’è un uomo. E quest’uomo imprigionato nella caverna di Platone scruta le ombre proiettate sul fondo o scrive sulle pareti delle grotte del paleolitico i segni della propria storia. Fin dall’inizio dei tempi un uomo si mette in viaggio per cercare la “terra incognita” e trascrive sul suo diario di bordo i frammenti del proprio itinerario: “Settembre, nuvole, rotte. Piogge / e mappe, bussole, catrame, voli. Tutte / le parole che posso dirvi, sopra questi binari / invisibili d’acqua e spuma e i pesci / come frecce, come angeli di Dio […] Dove si va / amici, le parole finiscono”.



Un uomo in cammino contempla l’indicibile spettacolo delle galassie stellari oppure si tuffa negli oceani delle nostre metropoli, l’occhio si spalanca, fotografa il brulicare delle nostre esistenze: “La ragazza che camminava incinta / ora è al tavolo del bar, seduta / con la madre sudamericana e un’amica / mentre muovono il neonato / al cui lobo brilla / lo zircone dell’orecchino […] Su di un lato del bar, il grande vetro mostra / la strada con la gente, i muri, le case. Mentre nasce / dove siamo. Dove eravamo mentre / nasceva. Cosa abbiamo fatto / mentre sorgeva / un’irruzione, uno sgorgare”.



Verso le stelle glaciali (Interlinea, 153 pagine, 12 euro), oltre i confini della nostra mente esiste un punto sorgivo verso cui dirigere il nostro itinerario, sembra dirci Tommaso Di Dio: “Io. / Verso le stelle glaciali. / Oppure puoi dire / un sentiero già segnato, un ritorno, una riflessione”. Un respiro epico unisce l’istante con l’eterno, cerca luzianamente le “fondamenta della vita”; la cronaca entra nel silenzio muto di una camera d’ospedale, la vita di un uomo sprofonda in quella universale, cerca i propri albori sulle pareti della preistoria: “Un uomo entra / per ragioni oscure, oltre la porta scorrevole / di un piccolo supermercato. Oltre il getto / d’aria condizionata / e oltre tornelli, casse, scaffali; ha sparato / ad altri uomini fra le merci kosher. Mentre guardo / dal cellulare la notizia e sovrappensiero / ad alta voce la dico, tu stai / seduto; e non parli […] Per ragioni oscure / in fondo a tutto questo; sulle pareti di pietra / e con milioni di mani / è stato dipinto un uomo.”



In una lingua scheggiata e sospesa che guarda alla poesia essenziale di Mario Benedetti, Di Dio introduce il lettore in un viaggio percorribile solo a condizione di spogliarsi di ogni ideologia conoscitiva: “Perché voglio vedere / non capendo. / Perché voglio credere / non sapendo”.

Quattro itinerari e dieci mappe, con relative descrizioni e immagini, compongono la struttura del libro dilatandone i possibili orizzonti di senso: “le mappe […] sono solo ipotesi di viaggiatori precedenti. Si consiglia nondimeno di consultarle, via via che si prosegue, anche solo per la curiosità di poter tornare indietro. In fondo, l’ordine in cui ci si perde – qui come altrove – è in se stesso sempre libero”.

Di Dio sfida la parola poetica a spingersi ad un’ultima, urgente prova, quella di abbandonare nuovamente “tutto quello che abbiamo conquistato”. La metafora si disintegra, l’immagine e il sogno non bastano più e le parole chiedono ora il conto al poeta per “farsi carne” nella storia di ognuno: “Le nostre parole stanno per raggiungerci. […] Ogni cosa / che è stata detta arriverà alle nostre porte / e darà colpi e colpi / per entrare e farsi carne. Stanno arrivando. […] Le nostre parole / stanno per raggiungerci. Siate pronti. / Dite loro il vero”.