Libri: a chi ne scrive capita talvolta di essere invitato a farne una presentazione in pubblico. E così è capitato a me, il 23 settembre scorso, in una occasione ed in un luogo del tutto particolare. Frequento il carcere di Opera già da qualche anno insieme ai volontari della Associazione Incontro e Presenza. Nel quadro delle iniziative proposte ogni anno all’interno del carcere Incontro e Presenza ha proposto la presentazione del mio libro Vite Incrociate: la pietà verso il nemico nella seconda guerra mondiale (Ares, 2022). Il libro racconta tredici storie vere nelle quali i protagonisti, soldati della Seconda guerra mondiale, con coraggio e generosità hanno riconosciuto l’umanità sofferente nel volto del nemico. La presentazione, alla quale hanno partecipato oltre cento detenuti, molti con pene molto lunghe da scontare, altri con fine pena mai, ha avuto luogo nel teatro del carcere.
Il tema in ambito carcerario era un po’ atipico: riflettere su avvenimenti successi in guerra. Quello che spesso ricordiamo delle guerre sono i fatti più tragici, gli eccidi, l’incredibile numero di morti, ed i comportamenti eroici di coloro che vi hanno perso la vita. Le tredici storie che ho cercato di raccontare nel libro parlano invece di atti di pietà che meritano di essere raccontati. In mezzo all’inferno della guerra si verificano talvolta avvenimenti che sembrano riuscire a negarne totalmente la stessa essenza, a redimerne almeno per qualche istante la malvagità totale. Questo accade quando la mente degli uomini, magari per pochi istanti, si dispone ad ascoltare quello che il cuore suggerisce, fidandosi del barlume di buono che ha intravisto, che per un istante ha permesso di cambiare le carte in tavola.
“La guerra tira fuori il peggio e il meglio delle persone. Le guerre non rendono grandi gli uomini, ma fanno emergere la grandezza negli uomini buoni”. Partendo da questa citazione di Richard D. Winters, comandante della Compagnia Easy della 101esima Aviotrasportata in Normandia, ho introdotto brevemente tre delle storie contenute nel volume, storie che raccontano la grandezza degli uomini buoni.
Alla mia presentazione sono seguiti gli interventi da parte di alcuni detenuti a cui avevo chiesto di leggere il volume, provocati da una domanda: quale può essere l’intuizione, il sentimento iniziale, che fa scattare nel cuore dell’uomo questi comportamenti, che gli fa riconoscere la parte più vera di sé stesso? Anche in tempo di pace, e persino in carcere, non è diverso. Cosa ci rende capaci di redimere la malvagità?
Le loro riflessioni sono state illuminanti giudizi sulla loro vita.
Giuseppe racconta: “Leggendo queste pagine è possibile apprezzare e ritrovare quel bene che tutti abbiamo in qualche modo perso: la bontà dell’anima che porta la pace nei cuori (…) Vorremmo tutti vedere ripetersi storie come queste. Perché quello che muove veramente il mondo è l’amore, anche quando l’inferno sembra dominare la terra”.
Carlo riflette su come “gli uomini sappiano mostrarsi solidali anche nelle situazioni più difficili, anche a costo della vita. Leggere questi racconti mi ha aiutato non poco nel cambiamento delle mie valutazioni sui valori nella mia vita”. Peppino osserva: “gesti di solidarietà, di amore verso il prossimo, destano un tale stupore sino al punto da far pensare al miracolo”
Paolo cita la vicenda degli aviatori inglesi e tedeschi, abbattuti con i loro aerei, che per uno strano destino si trovano a dover sopravvivere sulle montagne innevate della Norvegia, spunto di riflessione sulla sua esperienza personale. “Il rifugio che ha ospitato quei soldati diventa per me il carcere in cui vivo da oltre tre decenni. Anche per me è stato il luogo di incontro con persone ‘nemiche’. Fuori eravamo separati per l’appartenenza a schieramenti opposti. Con alcuni di loro invece è nata stima, con altri empatia, che ci ha condotti a un’amicizia sincera e disinteressata (…) che ha fatto emergere il meglio che è insito in ciascuno di noi. Accomunati dallo stesso destino cade la maschera della guerra, rivelando i volti di una umanità ritrovata”.
L’intervento di Alessandro conclude il nostro dialogo: “In questo libro sono al centro le persone, uomini con la loro identità, con i loro principi, le loro idee. Con il loro cuore. Mi è sembrato che un poco parlasse di noi, di noi che siamo qui dentro. (…) non è così diverso qui. Anche qui, ogni giorno, siamo chiamati a scelte esistenziali. Non dobbiamo compiere atti di guerra, ma interiormente forse sì, è una guerra. Contano le risorse interiori, la tensione che vi si mette, le relazioni autentiche, la dimensione spirituale. Io sono qui da molti anni e lo riconosco. Se non avessi avuto una salda fede religiosa non ce l’avrei fatta. E se non avessi incontrato persone benevole e aperte, che mi hanno aiutato a coltivare quella fede, e a maturarla, di nuovo non ce l’avrei fatta. Perciò mi sento chiamato in causa da quei piloti, sia da quelli del bombardiere sia da quello del caccia che non ha sparato per finirlo. Gente forte e vera, quella. Come in un certo modo occorre essere anche qui, per non decadere”.
In tutta coscienza, quando mi hanno proposto questa opportunità di presentare il mio libro e considerato il luogo, non credevo che avremmo affrontato la questione con questa profondità di giudizio. Ho pensato quindi di concludere l’incontro con la citazione del grande scrittore russo Vasilij Grossman nel romanzo Vita e Destino, che mi sembrava sintetizzare bene gli interventi dei miei amici detenuti: “Solo quando riconosce negli altri ciò che ha già colto dentro di sé, l’uomo assapora la gioia della libertà e della bontà”.
Qualche giorno dopo ricevo una lettera di Alessandro, un breve ringraziamento per quel sabato mattina passato insieme. Mi scrive: “In questo postaccio le occasioni così lasciano un piccolo tesoro dentro, che dura e col tempo germoglia”. La breve lettera di Alessandro mi fa ricordare un’altra citazione, questa volta di J.R.R. Tolkien: “L’uomo, per sua natura, può essere redento solo da una storia, e da una storia commuovente”. Qualcosa che, come ho imparato quel sabato, può avvenire anche in carcere.
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