Vi è mai capitato di prendere un caffè con un Asburgo? Ecco, se non vi è mai capitato, questa è la volta buona: certo, non sarà proprio come una conversazione vis-à-vis, eppure il piccolo libro scritto dall’arciduca Edoardo d’Asburgo-Lorena, The Habsburg Way, conserva tutta la freschezza di una lunga chiacchierata in relax, magari al tavolino di un caffè di Vienna, Praga, Bratislava, Lubiana o Trieste… quante sono le (splendide) città d’Europa che portano ancora oggi vivamente impresso il segno della civiltà nata e cresciuta sotto le ali dell’aquila bicipite? L’autore appartiene al ramo ungherese della Casa d’Austria ed è attualmente ambasciatore dell’Ungheria presso la Santa Sede. Il libro in questione è apparso lo scorso anno negli Stati Uniti e da poche settimane è disponibile in edizione italiana per i tipi delle edizioni D’Ettoris di Crotone, col titolo: Vivere da Asburgo. Sette regole per tempi difficili.
Una bella conversazione, si sa, per essere veramente piacevole, deve avvenire in un clima sereno e disteso, ma anche nei toni di una garbata franchezza (e non senza una punta di humour): è appunto questo lo stile del nostro autore, che, da consumato gentleman mitteleuropeo, nel presentarci alcune regole fondamentali alle quali gli Asburgo si sono attenuti nel corso dei secoli, delinea una sintetica introduzione alla storia della Casa d’Austria, senza mai negare l’amore per ciò che la sua famiglia ha rappresentato nella storia europea e ancora per molti continua a rappresentare. E rivelando fin da subito il filo conduttore che collega queste sette regole una all’altra: una convinta adesione alla fede cattolica, anche nella vita pubblica, nella società, nella politica: “[…] in un’epoca in cui si assiste alla sempre più decisa espunzione di qualsivoglia valore cristiano dalla vita pubblica e dalla politica, gli Asburgo difendono cose senza tempo come la famiglia, la fede, la convivenza pacifica delle nazioni”.
Dopo aver presentato un piccolo compendio storico, soffermandosi sugli eventi e i personaggi di primo piano, l’Arciduca passa ad analizzare quelle che ha individuato come le sette “regole d’oro” asburgiche, orientamenti che lascerebbero emergere il profilo più autentico della dinastia, ma che, in una certa misura, potrebbero essere di ispirazione per ognuno di noi. Le elenchiamo: 1. Sposarsi (e avere molti figli); 2. Essere cattolici (e praticare la propria fede); 3. Credere nell’Impero (e nel principio di sussidiarietà); 4. Tutelare il diritto e la giustizia (e amare i propri sudditi); 5. Essere consapevoli di ciò che si è (e vivere di conseguenza); 6. Essere coraggiosi in battaglia (o avere dei bravi generali); 7. Ben morire (e avere dei funerali memorabili).
Non si può negare che l’arciduca Edoardo abbia colto davvero alcuni degli aspetti più caratterizzanti degli Asburgo in queste sette regole, anche se forse la numero 2, alla quale non a caso sono dedicati ben due capitoli, meritava il primo posto, dal momento che, come detto, l’adesione – tanto formale e ufficiale, quanto personale, sentita e praticata – alla fede cattolica rappresenta il filo rosso che tiene unite tutte le altre “regole” e percorre l’intero libro. Del resto, se gli Asburgo sono la dinastia più europea di ogni altra, al tempo stesso i suoi membri, scrive l’autore, “erano – e, per la maggior parte, sono ancora – cattolici; punto. Essere cattolici è talmente radicato nella nostra identità che chiedersi se gli Asburgo siano cattolici ha quasi lo stesso effetto comico che avrebbe il domandarselo a proposito del Papa”. Quanto alla regola numero 1, si può dire senza tema di smentita che stia alle origini delle fortune della Casa d’Austria: Bella gerant alii, tu felix Austria nube. In questo ebbe un ruolo decisivo l’imperatore Massimiliano I (1459-1519), “l’ultimo cavaliere”, una figura straordinaria a cavallo tra Medioevo ed Età moderna: egli, sposando Maria di Borgogna, figlia del duca Carlo il Temerario, morto in battaglia contro gli Svizzeri, ne acquisì l’estesa e ricca eredità, difendendola dalle mire francesi; più tardi mise in atto una politica matrimoniale così avveduta e fortunata da assicurare agli Asburgo, da un lato, i regni spagnoli, e dall’altro i regni di Boemia e Ungheria, ponendo così le premesse per la complessa e variegata compagine multinazionale che avrebbe preso corpo sotto suo nipote Carlo V (1500-1558).
La multiformità della compagine asburgica porta con sé quello che l’autore definisce il “principio chiave” per comprendere il Sacro Romano Impero e la sua ideale erede, la monarchia austro-ungarica, ossia il concetto di sussidiarietà, da sempre un principio fondamentale della dottrina sociale cattolica. Se ancora oggi la difesa della sussidiarietà rimane imprescindibile, nei secoli passati era l’unico modo possibile di governare una realtà imperiale multiforme, fatta di culture diverse e autonomie gelosamente difese, ma che tuttavia trovava potenti punti di coesione nella comune fede cristiana, nell’idea sovratemporale e provvidenziale di impero e nella persona stessa dell’imperatore.
La difesa di questo antico ordine civile cristiano e sovranazionale, nel corso dei secoli, ha reso a volte necessario il ricorso alle armi. Uno sguardo superficiale (e, di norma, malevolo) mette spesso gli Asburgo in relazione alle grandi disfatte dell’epoca più recente: Solferino nel 1859 contro i franco-piemontesi, Königgrätz nel 1866 contro i prussiani e, infine, il tracollo del glorioso esercito imperial-regio nel novembre del 1918. In realtà la tradizione militare asburgica è unica e abbraccia l’intera storia d’Europa: le insegne asburgiche hanno sventolato sui campi di battaglia europei almeno dal XIII secolo, con la sconfitta di Ottocaro di Boemia, in avanti; pensiamo soltanto alla vittoria di Lepanto nel 1571, all’assedio di Vienna del 1683 e alle successive vittorie di Eugenio di Savoia contro i Turchi, ma senza dimenticare altre immagini che hanno il sapore dell’epopea: l’imperatore Massimiliano che, appiedato, regge la picca in battaglia al fianco dei suoi soldati per difendere la Borgogna dai francesi nel 1479, o l’arciduca Carlo che, nel 1809 ad Aspern, guida personalmente, a cavallo, con la bandiera in pugno, l’assalto delle sue truppe, rendendosi protagonista della prima vittoria contro Napoleone.
L’arciduca Edoardo d’Asburgo si sofferma sui principali simboli identitari della Casa d’Austria, come il celebre motto AEIOU, l’aquila bicipite, l’ordine del Toson d’oro. Non trascura aspetti imbarazzanti come il famoso “mento asburgico” o i matrimoni tra consanguinei e, pur dichiarando apertamente l’attaccamento alla sua famiglia e l’onore di appartenervi, non cela neppure le figure che non sono state all’altezza del loro ruolo o i momenti storici in cui le “sette regole” non sono state tenute in adeguata considerazione – a dire il vero, trovo addirittura che la complessa personalità di Rodolfo II (1552-1612) meriti un giudizio un poco più sfumato rispetto a quello abbastanza severo dell’autore.
Nel complesso, non saranno solo gli appassionati di storia e gli entusiasti della Casa d’Austria a trovare tanto piacevole quanto utile la lettura di questo libro, che peraltro gode di un’edizione italiana migliorativa rispetto all’originale americana – anche se va detto che una nota bibliografica più ricca e un piccolo apparato iconografico avrebbero assai giovato. Le ultime pagine sono in gran parte dedicate alle indimenticabili figure del beato imperatore Carlo I (1887-1922) e dell’imperatrice Zita (1892-1989), che hanno saputo vivere, e morire, incarnando nel più alto grado la fede cattolica, la tradizione dinastica e la vocazione imperiale degli Asburgo.
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