È un libro pieno del sole del Mediterraneo. Nonostante vi si narri d’eventi anche drammatici, nonostante la vicenda sia quella di una famiglia in fuga, nonostante lo sguardo retrospettivo dell’autore, William Mallinson, sia in sostanza malinconico, eppure questo Tre volte fuggitiva (Aracne 2020) è un romanzo storico che del nostro mare e delle terre che gli sono sponde riferisce la luce, la bellezza, il carattere.



Il curriculum di Mallinson è articolato: diplomatico inglese, conferenziere, autore d’articoli e libri, è oggi docente di Idee politiche all’Università Guglielmo Marconi. Alla presentazione di questa sua ultima fatica (alla Libreria Mondadori di Roma, in febbraio) è apparso appassionato e distaccato insieme: come le sue origini vogliono, essendo egli in parte scozzese e in parte greco (vive normalmente ad Atene).



Tre volte fuggitiva narra di queste due radici singolarmente conflittuali e non in modo metaforico: nella Grande Guerra i nonni dell’autore erano uno con gli inglesi a Gallipoli, l’altro nell’esercito ottomano. E nella guerra successiva il padre e gli zii erano ancora in contrapposizione. Effettivo protagonista risulta alla fine essere Efstriatos (Strato) Tusgiolglu, il capostipite della famiglia materna di Mallinson, un greco che il cognome dice d’orgine smirniota. Nato ad Adalia nel 1894, aveva infatti studiato presso la scuola francese di Smirne, lavorando con la missione diplomatica italiana e poi come interprete all’Ospedale italiano. Appresa la lingua di Dante, Strato, pur senza assurgere alla carica di dragomanno, aveva svolto un ben celato servizio di controspionaggio. Ne scriveva in una relazione il direttore dell’Ospedale: “Costui parla e scrive perfettamente in italiano, greco, turco e francese […] Inoltre, egli ha fornito all’Italia un eccellente servizio informativo, e anche se è di religione ortodossa e di nazionalità turca, si è sempre mostrato fedele nei confronti dell’Italia e degli Italiani”. Storia non rara al tempo e simile assai a quella narrata, poco più a Oriente, in Ritorno a Bagdad (Aracne 2018) da chi qui scrive. Tuttavia Strato non entrò mai nella carriera diplomatica, e rimase a lungo in quell’Adalia posta al confine dei diversi e smodati appetiti di  Atatürk e di Venizelos. Il deflagrare  delle opposte tensioni, le confische, i pericoli, lo porteranno con la sua famiglia a girovagare verso una qualche sicurezza nell’italiana Rodi per poi approdare a Roma, pur tornando spesso nei luoghi d’origine, fino alla morte nel 1971, ormai adottato e decorato dalla non ingrata Italia.



Le vicende successive, soprattutto della figlia Penelope (è lei la “tre volte fuggitiva”) sono a questi eventi tutte legate: il primo e il secondo conflitto mondiale, i vari trattati sulla spartizione della geografia ex-ottomana, il galoppo inquietante di quelli che Mallinson chiama “i minotauri della paura e dell’avidità”, hanno segnato la grande histoire delle nazioni, come la petite histoire delle famiglie. Tuttavia alla saga personale – pur affascinante per il pungente senso della memoria e della nostalgia ch’essa suscita nell’autore e nel lettore – segue una seconda parte altrettanto attraente dedicata da Mallinson ad un’analisi storico-politica della “sua” Grecia e dell’amica-nemica Turchia. E dunque il “brutto e il cattivo” come “il buono”, dell’identità dell’una e dell’altra, le rivalità e i meticciati, l’ospitalità e la crudeltà, le guerre interne ed esterne. E soprattutto il cinismo delle maggiori potenze europee che, passandosi il testimone di decennio in decennio, hanno fatto del Mediterraneo orientale una sorta di “latrina geopolitica”.

Alla lucidità forte e spietata, Mallinson alterna, in questa parte, anche un affettuoso omaggio all’Italia e agli italiani: capaci di “trasformare il pessimismo in meraviglia”: “Furono gli Italiani a salvare la mia famiglia dagli orrori del fanatismo”, dall’estremismo greco come da quello turco.

Lo sguardo di Mallinson verso l’orizzonte del nostro luminoso mare non è sereno: la globalizzazione, la perdita della storia, l’avidità del “tutto e subito”, il silenzio delle anime, gli fanno chiudere il libro con una citazione da Oscar Wilde (De profundis) che non si può non condividere: “La maggior parte delle persone sono altre persone, i loro pensieri sono le opinioni di qualcun altro, la loro vita parodia, le loro passioni citazioni”.

Buona quasi sempre la traduzione dall’inglese di Eleonora Carlotta Gallo e assai interessanti le immagini inserite nel testo.