Da circa una settimana, dalla capitale Beirut a città come Sidone, migliaia di manifestanti sono tornati nelle strade in Libano, bloccandole con camion e pneumatici bruciati, interrompendo anche l’autostrada internazionale di Minieh e quella che unisce Palma e Halba. Il popolo libanese è esasperato, ci ha detto in questa intervista Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia e collaboratore di Avvenire: “Tre quarti della popolazione vive sotto il livello della povertà, la lira ha perso l’84% del suo valore, lo stipendio minimo non arriva a 70 dollari al mese e un libanese deve vivere con 3-4 dollari al giorno”.
Una situazione che dura da più di un anno, causata dalla corruzione delle forze politiche che rappresentano le varie comunità religiose del paese e che ancora non trovano un accordo: “È Hezbollah che manovra la situazione, e dietro a Hezbollah, sappiamo tutti, ci sta l’Iran, che vuole usare il Libano come carta da giocare nelle future trattative con l’America di Biden”. Di fronte a tutto questo si alza forte una voce sola, quella del patriarca maronita, il cardinale Béchara Boutros Raï, che accusa la classe politica e invita la popolazione a non tacere di fronte al collasso in cui sta precipitando il paese.
Il patriarca maronita Raï ha pronunciato parole forti, recentemente, accusando la classe politica di ritardare “intenzionalmente” la formazione di un governo. Cosa intendeva esattamente?
Lo scorso 28 febbraio si è tenuto un raduno popolare presso la sede patriarcale maronita di Bkerke per sostenere il patriarca Raï e la sua richiesta di dichiarare all’Onu la neutralità del Libano come ultima àncora di salvezza per il Paese. Raï ha fatto un discorso molto duro contro il tentativo di nascondere le responsabilità, chiedendo alla gente di non rimanere zitta davanti alle responsabilità politiche della presenza di due eserciti in uno Stato.
Come si spiega questo ritardo dopo gli accordi con Macron del 1° settembre dell’anno scorso che chiedevano immediatamente un governo tecnico?
Ogni parte politica scarica le colpe sull’altra. Il premier uscente ha minacciato di ritirarsi e non fare più niente e questo potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. Le manifestazioni degli ultimi giorni sono state mosse dal fatto che il dollaro ha sfondato quota 10mila. La gente è esasperata, la lira ha perso l’84% del suo valore, lo stipendio minimo non arriva a 70 dollari al mese, un libanese deve vivere con 3-4 dollari al giorno quando la soglia di povertà è di sei dollari al giorno. Tre quarti dei libanesi vive sotto la soglia di povertà.
Una situazione drammatica. Da qui la rabbia del popolo?
Neanche durante la guerra civile vedevamo la gente che litigava per una bottiglia di latte: i generi alimentari ancora sovvenzionati dal governo sono ormai pochissimi. Si vedono immagini allucinanti. Si soffre la fame.
Ma le banche libanesi, che un tempo finanziavano l’intero Medio Oriente, esistono ancora?
La responsabilità della crisi finanziaria ricade principalmente proprio sulle banche, che prestando i soldi dei correntisti a uno Stato che sapevano essere fallimentare, hanno visto quei soldi evaporare. La Banca centrale ha imposto alle banche di aumentare i loro capitali del 20%, uno dei motivi che ha portato a una ulteriore svalutazione della lira. Hanno chiesto di riunire in una sola banca tutte quelle in difficoltà, altrimenti le hanno fatte chiudere. Più si ritarda la formazione del governo e più ci sono problemi; la formazione di un governo attenuerebbe infatti la tensione dei mercati.
Ma questo non succede. Chi manovra le fila di questo disastro?
Vediamo svanire tutte le speranze suscitate dall’iniziativa francese del 1° settembre dello scorso anno. Il patriarca è stanco, accusa i politici di litigare per una poltrona mentre il popolo sta morendo di fame.
Appunto, la Francia. Si è disinteressata del Libano? E la comunità internazionale? Il patriarca ha sottolineato che la neutralità del Libano era una forza per il Medio oriente, ora nessuno sembra capire che, se il Libano crolla, crolla anche una delle poche possibilità di pace nella regione…
Il patriarca ha sottolineato proprio questo, chiedendo una conferenza internazionale patrocinata dall’Onu perché il Libano è uno Stato fallito e questo dà diritto all’Onu stesso di intervenire, visto che la classe politica è incapace. Ma Hezbollah ha detto di no a questa possibilità. Abbiamo perso tutti i nostri amici anche nel mondo arabo: i paesi del Golfo ci chiedono perché dovrebbero aiutarci, visto che le redini del paese le sta tenendo Hezbollah. La Francia ha perso ogni fiducia quando ha visto che il governo tecnico che aveva chiesto è composto di politici mascherati da tecnici.
Il fallimento del Libano a livello internazionale a chi fa comodo? A Hezbollah?
Agli Hezbollah non fa comodo, perché preferiscono trattare con gli americani invece che con i francesi. Vorrebbero arrivare a un compromesso con l’America di Biden perché tutto è legato ai negoziati per il nucleare, visto che è l’Iran a controllare Hezbollah. Il Libano è una carta in mano all’Iran. Potrebbero usarla nelle future trattative, ma non sappiamo se saremo solo una carta da mettere sul tavolo o uno dei protagonisti attorno al tavolo. Rischiamo di non essere presenti e di essere venduti in cambio di non sappiamo cosa.
In definitiva cosa rischia il paese?
Si gioca il futuro dei cristiani in Libano. Tutti quelli che possono stanno lasciando il paese. Siamo caduti in fondo nella classifica dei paesi più poveri, siamo ormai a livello di paesi come il Bangladesh.
(Paolo Vites)