Un primo cuscinetto fra il confine israeliano e il fiume Litani in cui potrebbe agire l’UNIFIL, un secondo cuscinetto al di là del corso d’acqua appannaggio dell’esercito libanese. Il piano per allontanare Hezbollah dal confine lo ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ma presuppone che per i soldati dell’ONU vengano definite nuove regole di ingaggio, per dare loro la possibilità di sviluppare un’azione più incisiva e dare un contributo concreto alla pace in Libano.
Finora, d’altra parte, osserva Vincenzo Giallongo, generale dei carabinieri in congedo con all’attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, l’UNIFIL non è riuscita a combinare gran che. L’emblema della missione è il tunnel di Hezbollah che sbuca non molto lontano dalle postazioni dei militari delle Nazioni Unite, realizzato senza che nessuno abbia chiesto conto di quello che stava succedendo. Il problema è la volontà politica: le regole di ingaggio si possono cambiare in un paio di settimane, ma occorre una decisione dell’ONU in tal senso.
Generale, Tajani ha fatto una proposta per un impiego diverso dell’UNIFIL cambiando le regole di ingaggio per i soldati; è la strada giusta per arrivare alla pace in Libano?
Quando si va a fare una missione di peacekeeping o di altro tipo, si devono avere delle regole di ingaggio, che stabiliscano in quali casi i militari possono usare le armi. Se si vuole che l’UNIFIL funzioni bisogna cambiarle, intanto permettendo di rispondere al fuoco. I soldati ora possono farlo se sono attaccati direttamente, ma qui si sono trovati in mezzo tra due contendenti, Israele e Hezbollah, che si sparano tra loro. Tajani dice che bisogna modificare le regole di ingaggio, ma il problema è anche di consentire all’UNIFIL di muoversi realmente. Finora la sua missione è stata fallimentare.
Perché l’UNIFIL non ha raggiunto gli obiettivi per i quali era stata pensata?
Doveva stare lì per evitare che Hezbollah agisse incontrollata e per aiutare l’esercito libanese a contenere il terrorismo islamico. Ma l’unica cosa che ha fatto, forse, è addestrare i soldati libanesi. Non ha però interdetto l’azione degli Hezbollah né ha guidato l’esercito libanese perché impedisse al gruppo filoiraniano di agire indisturbato.
Cosa bisognerebbe fare, invece?
Occorre che l’UNIFIL segua l’esercito libanese in modo che, quando Hezbollah spara contro Israele, intervengano sul posto. Quando si lanciano i missili si vedono delle fiammate, i militari potrebbero spostarsi in quella direzione per individuare i responsabili dell’azione, magari recuperando i razzi che non sono stati lanciati. Questa è una delle funzioni che avrebbe dovuto svolgere l’esercito libanese, appoggiato dall’UNIFIL.
Ma sappiamo che così non è stato.
In un servizio del Tg1 si è visto come a 20 metri dalla base della garitta del soldato dell’UNIFIL ci fosse un tunnel di Hezbollah. Non conosco le regole di ingaggio, ma se vedo qualcuno che fa un buco lo fermo e contatto l’esercito libanese per accertare quello che sta succedendo. Lo abbiamo fatto in Iraq e in altre missioni. Non è che gli accertamenti non si possono fare. Tutti si sono ben guardati dal parlare di questo episodio; se avessero avuto qualcosa da dire avrebbero spiegato subito. Invece, silenzio assoluto, come si fa quando di una cosa non conviene parlare.
L’esercito libanese però è messo male. È per questo che non si è riusciti a incidere?
Se è così non stiamo lì e andiamo via. La missione costa moltissimo; o c’è un ritorno in termini di credibilità oppure è meglio rinunciare. Se ti accorgi che è solo un fallimento, salvi la faccia andando via. Bisogna avere il coraggio, quando è così, di dire che una cosa non funziona. Bisogna che l’UNIFIL abbia un vero potere di comando sull’esercito libanese.
Ma è possibile?
L’ONU ha permesso di fare quello che ha voluto in Bosnia, in Kosovo e in mezzo mondo; non vedo perché non possa dare un mandato del genere all’UNIFIL. La verità è che non lo faremo mai perché abbiamo paura, per esempio, di attentati alle basi.
Non c’è il rischio di diventare nemici di Hezbollah e quindi venire colpiti?
Certo, il rischio è quello di diventare nemici di Hezbollah. D’altra parte, questo è quello che bisognerebbe fare: l’esercito libanese deve essere supportato in maniera concreta dall’UNIFIL, obbedire ai suoi ordini e contrastare questo gruppo terrorista. Netanyahu non mi piace, agisce solo pro domo sua perché ha paura delle ripercussioni che avrà quando arriverà alla pace; comunque, quando dice che l’UNIFIL ha fallito, ha ragione.
Però Israele ha sparato direttamente contro i soldati ONU.
Questo lo posso pensare; di schermaglie simili nelle missioni all’estero cui ho partecipato ne ho viste tante, ma cambia poco: la prova lampante che qualcosa non ha funzionato è il tunnel di Hezbollah a 20 metri dalle postazioni dell’UNIFIL.
La soluzione proposta da Tajani dei due cuscinetti per allontanare Hezbollah dal confine è praticabile?
In teoria mi pare un piano accettabile. È un primo passo. Le regole di ingaggio si possono cambiare in due settimane e partire con un nuovo corso. Siamo partiti anche in tempi più ristretti quando c’era la necessità di farlo. Ci sono regole preordinate per le diverse operazioni; è la burocrazia che allunga i tempi. Certo, ci vuole una decisione dell’ONU, e non è così facile che arrivi.
(Paolo Rossetti)
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