Un nuovo presidente per il Libano. Potrebbe arrivare il 9 gennaio, quando il parlamento si riunirà per eleggerlo. Dovrà essere cristiano maronita e, dopo la caduta di Assad e la fine dell’influenza siriana sul Paese, dovrà esprimere la fine dell’ingerenza iraniana. La figura che può mettere d’accordo tutti, osserva Bernard Khoury, direttore italo-libanese del Centro studi sul mondo arabo Cosmo, è quella di Joseph Aoun, capo dell’esercito. La sua elezione sancirebbe la fine dell’influenza di Hezbollah e aprirebbe a un accordo di pace con Israele, da estendere a tutti i Paesi della regione. La situazione rimane comunque delicata: il ministro israeliano della Difesa Katz ha accusato Hezbollah di non aver ancora ritirato i suoi miliziani a nord del fiume Litani, minacciando di rompere l’intesa fra le parti sulla tregua.
Il 9 gennaio il parlamento libanese si riunisce per eleggere un nuovo presidente. Sarà la volta buona dopo due anni di attesa?
Sarà una giornata molto importante per il Libano. I 128 deputati si riuniranno per eleggere il nuovo presidente. Difficile dire, però, se si raggiungerà subito il quorum. In un Paese geopoliticamente debole come il Libano non saranno solo loro a eleggerlo: il nuovo capo dello Stato deve godere di buoni uffici presso la Francia, ma soprattutto presso gli Stati Uniti.
Insomma, si deve trovare un nome che metta d’accordo i libanesi ma anche i Paesi stranieri che hanno una loro influenza sulla regione?
Più che mettere d’accordo i libanesi, questo presidente deve mettere d’accordo la comunità internazionale. Deve rappresentare un Paese che non orbita più nella sfera dell’Iran, ma che si è spostato sul fronte opposto. La caduta del regime di Bashar al-Assad ha aperto la strada a questa nuova fase. Fino a oggi tutti i presidenti libanesi, tranne una parentesi del 1982 con l’elezione di Bashir Gemayel, assassinato dai siriani, sono stati letteralmente scelti proprio dal regime siriano: non dovevano contrastare Damasco e neanche opporsi al possesso di armi da parte di Hezbollah. Questo è il motivo per cui negli ultimi due anni il partito filoiraniano ha impedito l’elezione di un presidente.
Hezbollah continuerà a cercare di impedire l’elezione?
È talmente indebolito che non penso possa avere la forza di farlo. La caduta di Assad ha cambiato le carte in tavola: i siriani hanno fisicamente occupato il Libano dal 1976 al 2005 con l’esercito, ma da quel momento hanno continuato a esercitare la loro influenza con i loro servizi o tramite partiti o movimenti compiacenti, come Hezbollah e il Partito nazionalista sociale siriano. Suleiman Frangieh, uno dei nomi che si facevano per la presidenza, era sponsorizzato da Assad, con cui aveva un’amicizia personale, e da Hezbollah. Adesso il suo nome non è più sul tavolo.
Chi sono i candidati più accreditati per la presidenza?
È probabile che il prossimo presidente sarà il generale Joseph Aoun, comandante generale delle forze armate libanesi. Gli americani lo vogliono e rappresenta l’unica istituzione che riflette un’unità nazionale: metterebbe d’accordo tutti, sul piano internazionale e su quello interno.
Come funziona l’elezione?
Il parlamento è diviso in 128 seggi, con 64 seggi per i cristiani e 64 per i musulmani. Per cristiani si intendono i maroniti (cattolici), i protestanti, gli ortodossi, ognuno con una quota proporzionale alla presenza demografica nel Paese. I maroniti sono quelli che hanno un maggior numero di seggi. Lo stesso vale per i deputati musulmani, divisi tra sunniti, sciiti e drusi. Per l’elezione del presidente vale l’articolo 49 della Costituzione libanese, secondo cui al primo round il parlamento deve avere una maggioranza dei due terzi. Se non dovessero essere raggiunti, bisognerà indire altre sessioni per ottenere la maggioranza assoluta.
Ci vuole per forza un accordo fra le parti?
Il presidente, anche se rappresenta tutti i libanesi, deve essere un cristiano maronita. E nonostante i cristiani abbiano 64 seggi al primo round, non possono decidere da soli chi sarà. Non è detto neanche che tutti votino per lo stesso candidato: le Forze libanesi potrebbero esprimersi per un candidato e altri cristiani, per esempio il partito di Gebran Bassil, sceglierne uno diverso.
Oltre ad Aoun c’è qualcun altro?
Si fa il nome di un altro generale, Elias al Bissari, capo della sicurezza generale libanese, l’intelligence, e in questi giorni è emerso anche il nome di Samir Geagea, del partito delle Forze libanesi, che è stato uno dei protagonisti della guerra civile, ma non è ben visto da una parte dei cristiani. Tra tutti i candidati, il generale Aoun, però, è quello che potrebbe accontentare tutti.
Allo stato dei fatti la convergenza su un nome è possibile o siamo ancora lontani?
Tutta la comunità internazionale sta spingendo perché ci sia un presidente, altrimenti il Paese rimane fermo. A maggior ragione adesso, con la tregua con Israele che traballa, con Hezbollah messo all’angolo e dietro di lui l’Iran. Stavolta credo che ci siano grandi probabilità che il Paese abbia di nuovo un presidente della Repubblica.
Nella comunità internazionale chi sono i Paesi che spingono di più per una soluzione?
Sono Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita e tutti i Paesi del Golfo. Mi dispiace che l’Italia non abbia un ruolo di primo piano: ha tutte le carte in regola per giocarsi anche questa partita. Spero che in futuro la politica estera di Roma sia meno timida in tal senso. Gli americani vogliono togliere il Libano dalla sfera filoiraniana, rimettendolo nella sua posizione di ponte fra Oriente e Occidente. La Francia è coinvolta per ragioni storiche, perché il Paese politicamente è cresciuto sotto le ali amministrative e culturali della Francia. L’Arabia Saudita vuole ricondurlo in una sfera filoaraba. Stabilità con il Libano significa anche stabilità con Israele.
Il Libano può tornare a recitare un ruolo importante nella regione?
Con il suo sistema bancario, molto simile a quello svizzero, era un polo finanziario importante. Negli ultimi anni, per fare pressione sull’Iran, i Paesi del Golfo, l’Arabia Saudita in particolare, hanno rallentato molto i rapporti con il Paese: ai sauditi, per esempio, era stato vietato di fare turismo in Libano. E questo da un punto di vista economico ha messo in ginocchio il Paese. Anche per questo sono ottimista per il 2025: potrebbe essere l’anno giusto per una ripresa sotto tutti i punti di vista.
La tregua con Israele continua nonostante le azioni dell’IDF: potrà trasformarsi in un accordo di pace vero e proprio?
Dall’ottobre 2023 assistiamo ad una nuova stagione segnata da un ridimensionamento importante di tutta l’influenza iraniana e dove si sta affermando l’intenzione di stringere accordi di pace con Israele. Vedremo che cosa accadrà con la nuova presidenza americana che, tra l’altro, è stata la promotrice degli Accordi di Abramo, sospesi dagli attacchi di Hamas. Il Libano sarà uno dei primi Paesi a cui la comunità internazionale chiederà di arrivare a un accordo di pace con Tel Aviv. Ci sono delle resistenze: in Libano è ancora tabù, ma la strada tracciata è quella, anche perché altri Paesi arabi l’hanno già seguita.
Le armi, quindi, non torneranno a farsi sentire?
Mancano 23 giorni alla conclusione della tregua e la maggior parte dei libanesi è ottimista, per un motivo pratico: Hezbollah ha ormai difficoltà a utilizzare i suoi equipaggiamenti militari. Gli israeliani hanno portato avanti le loro operazioni contro di loro. Anche nelle ultime ore ci sono stati attacchi aerei. In 37 giorni, durante l’accordo della tregua, hanno continuato a indebolire tutte le restanti capacità operative del partito di Dio. Oggi non credo che possa più fare molto.
(Paolo Rossetti)
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