A Beirut si è dimesso formalmente tutto il governo guidato dal premier Hassan Diab, dopo che migliaia di libanesi sono scesi in piazza per manifestare contro istituzioni impotenti ottenendo le dimissioni di 4 ministri. Le proteste fanno seguito all’esplosione di mercoledì scorso che ha devastato il centro di Beirut con un bilancio pesantissimo: oltre 160 morti, 6mila feriti, moltissime persone ancora disperse e danni devastanti: 300mila persone senza casa in un paese che non supera i sette milioni di abitanti.
“Il paese è già fallito, ora può finire del tutto sotto il controllo degli sciiti di Hezbollah” dice al Sussidiario Rony Hamaui, docente all’Università Cattolica di Milano ed esperto di finanza islamica. Hamaui vede alle porte un rischio peggiore dell’instabilità politica: “c’è il rischio che in Libano si ripeta la disgregazione vista in Siria”.
Le dimissioni possono cambiare gli equilibri interni o porteranno soltanto alla sostituzione di Hassan Diab con un altro primo ministro sunnita, come previsto dall’architettura istituzionale libanese?
Il governo attuale aveva impiegato diverso tempo per formarsi, così come il precedente. Ora vedo difficile per chiunque, ma soprattutto per un tecnico come l’attuale premier dimissionario, formare un governo che possa non dico avere consenso nel paese, ma almeno la maggioranza in parlamento.
Le dimissioni basteranno a sedare le proteste, preesistenti alla catastrofe?
Non credo che calmeranno la piazza. Il paese è già fallito da un punto di vista economico e sociale, come provano gli enormi problemi visti già negli anni scorsi con spazzatura, elettricità, servizi sociali. C’è però un male peggiore da scongiurare.
Il rischio di una guerra civile?
Sì, ma diversa da quella siriana e irachena, perché in Libano c’è un solo esercito, quello di Hezbollah. L’esercito di Stato è formalmente in mano ai cristiani maroniti, ma non sappiamo quanto riesca a controllare il territorio.
E l’architettura istituzionale che prevede l’equilibrio tra etnia sciita, sunnita e maronita può salvarlo?
Non basta. Quell’equilibrio è figlio del tentativo di dividere i poteri dello Stato in modo confessionale, ma la maggioranza sciita di Hezbollah ha oggi un ruolo dominante difficile da ridimensionare. È vero che gli sciiti hanno solo 45 seggi su 128 totali in parlamento, ma detengono la maggioranza relativa, sono organizzati e hanno un esercito.
Hezbollah è in grado di prendersi tutto il potere?
Rischiamo che si formi un governo al suo servizio che completi l’onda lunga dell’egemonia sciita che parte dall’Iran, attraversa Iraq e Siria e oggi arriva in Libano. Anche se tendiamo a dimenticarlo, la Siria attualmente non è pacificata: il 60% del paese è in mano ad Assad, il 40% ad altre forze. Il Libano rischia la stessa fine.
Macron è andato in piazza prima di andare dal presidente Aoun, un comportamento ai limiti dello sgarbo istituzionale. Come commenta il suo protagonismo?
È una mossa abile: utilizzare il Libano come canale per riconquistare un ruolo in Medio Oriente, dove l’Europa è la grande assente. Io la giudico positivamente, ma anche se la presenza francese può aiutare, il Libano resta un paese di confine, tra Israele e Siria.
La piazza ha accolto festante il presidente francese chiedendogli di cacciare i politici corrotti.
Capisco i libanesi, meglio la colonizzazione e la democrazia francese di quella iraniana. Il Libano, pur con tutti i suoi limiti, conservava una parvenza di democrazia.
Il gruppo dei “paesi donatori”, Francia in testa, ha raccolto 250 milioni di euro per il Libano. Crede che saranno risorse sufficienti?
Credo che non sia un problema di risorse, ma politico: ovvero chi gestirà le risorse e il paese dopo questa catastrofe. L’economia è una conseguenza, certo importante, ma non la causa.
Quali sono i problemi maggiori della società libanese oggi?
L’assenza del ceto medio, schiacciato da un’inflazione galoppante, da un tasso di cambio svalutato dell’80%, dal fatto che non può più ritirare i suoi risparmi. Prima delle case è il ceto medio, l’asse portante di tutte le democrazie, che va ricostruito.
Anche il sistema finanziario privato è in crisi, oltre agli enormi problemi delle casse pubbliche.
Salvo pochissime holding in mano alle famiglie più influenti, il resto dell’economia è in grossa difficoltà. C’è da ricostruire il tessuto economico e sociale. È la sfida più difficile, e serve un governo e un leader che abbiano l’autorevolezza per farlo.
Cosa può fare il Libano per evitare di cadere sotto Hezbollah?
Gli serve un leader che riesca a coalizzare delle forze al momento estremamente frammentate. Le dimissioni del governo non basteranno a calmare la piazza o a far funzionare un paese.
(Lucio Valentini)