La crisi finanziaria in cui versa il Libano rischia di trasformare il Paese in un paradiso per il riciclaggio di denaro sporco. A lanciare l’allarme è un nuovo rapporto della Banca Mondiale, che ne spiega anche le ragioni. La valuta locale, la sterlina libanese, è crollata di valore dopo il default del debito pubblico di tre anni fa, quindi i beni di consumo sono sempre più spesso prezzati in dollari. Inoltre, l’anno scorso è stato permesso ai ristoranti di fare lo stesso. Le compagnie telefoniche e le stazioni di servizio la scorsa settimana hanno seguito l’esempio. Questa strategia è stata adottata negli ultimi decenni anche per stabilizzare altre crisi, dall’America Latina allo Zimbabwe. Ma come evidenziato dal Times, la Banca Mondiale è preoccupata per il Libano perché questo cambiamento non è stato accompagnato da riforme economiche. Tenendo anche conto del fatto che mantiene la tradizione di sistema finanziario aperto, il Libano deve fare i conti con ulteriori rischi per l’economia del contante in dollari.



Si tratta di un avvertimento particolarmente rilevante in un momento in cui i vicini arabi del Libano e l’Occidente presta sempre più attenzione allo status del Paese come porta d’ingresso per il contrabbando di droga su larga scala. E a gestirne il traffico sarebbe Hezbollah. Il rapporto della Banca Mondiale non fa riferimento ad eventuali legami con droga o Hezbollah, ma segnala che «il fallimento sistemico del sistema bancario libanese e il crollo della valuta hanno portato a una grande economia basata sul denaro contante». Ciò rappresenta una minaccia non solo per la politica fiscale e monetaria del Libano, «ma aumenta anche il rischio di riciclaggio di denaro, incrementa l’informalità e spinge a un’ulteriore evasione fiscale».



LA GRAVE CRISI FINANZIARIA IN LIBANO

La crisi finanziaria, aggravata dalla pandemia Covid e dall’esplosione nel porto di Beirut nell’agosto 2020, è la più estrema di qualsiasi Paese in tempi moderni. Il tasso di povertà ufficiale in quello che era uno dei Paesi più prosperi della regione è raddoppiato, passando dal 40% della popolazione a oltre l’80%. Le banche che avevano prestato ingenti somme di denaro alla Banca centrale per sostenere il tasso di cambio sono state esposte al default e hanno dovuto congelare i conti dei clienti. Ma anziché introdurre riforme immediate, la Banca centrale del Libano ha provato a gestire la crisi prevedendo tassi di cambio diversi per scopi diversi, che hanno favorito chi possiede azioni bancarie, perché hanno potuto aumentare la ricchezza privata anziché stabilizzare i profitti. La valuta in Libano ha così perso oltre il 98% del suo valore.



La banconota di maggior taglio, che ha un valore nominale di 100mila sterline libanesi, vale attualmente 85 pence, rispetto alle 50 sterline prima della crisi. Inoltre, la rapida inflazione ha spinto i negozi ad adottare prezzi in dollari. Con tanto denaro bloccato per i conti congelati, l’economia libanese necessita di valuta forte “fresca”. Quindi, la classe di pensionati con famiglie all’estero si è ritrovata ad essere “ricca”. Anche il personale della classe media impiegato in aziende o agenzie internazionali, che riceve stipendi in dollari, ha accresciuto la propria ricchezza relativa, infatti si registra l’apertura di nuovi ristoranti nei quartieri ricchi della capitale, Beirut, nonostante l’aumento dell’accattonaggio. Sono così aumentate le transazioni in contanti. Infatti, come evidenziato dal Times, la Banca Mondiale ha dichiarato che rappresentano oggi il 45% di tutto il prodotto interno lordo, e secondo esperti indipendenti la percentuale raggiunge il 60-70%. Di conseguenza, il gettito fiscale, di per sé già basso, è calato ulteriormente, mettendo in ginocchio il governo.

IL CIRCOLO VIZIOSO DELLA DOLLARIZZAZIONE

Il rapporto della Banca Mondiale segnala «un crollo quasi completo delle finanze pubbliche che hanno raggiunto i tassi più bassi a livello globale. Si stima che le entrate siano scese da un già basso 13,1% del PIL nel 2020 al 6,0% del PIL nel 2022». Una situazione che ha innescato un effetto domino in Libano. Ad esempio, trattandosi di un paese dove tasse e spesa pubblica sono quasi inesistenti e quindi sembra un paradiso per libertari, a farne le spese è stata anche la sicurezza nazionale e pubblica, con poliziotti e soldati che hanno dichiarato di non potersi più permettere di andare a lavorare. Il Times osserva che c’è stato anche uno scarso controllo sulla corruzione. Il governatore della banca centrale, Riad Salameh, è accusato di appropriazione indebita e riciclaggio di denaro su larga scala.

Per gli esperti, se da un lato legare un’economia in crisi come quella del Libano al dollaro può ripristinare una certa fiducia economica, data la sua accettazione come riserva di valore, dall’altro lato l’uso del dollaro toglie ai governi il controllo su una leva economica fondamentale, rendendo i Paesi più piccoli più soggetti a choc economici. Nasser Saidi, ex vicegovernatore della Banca centrale libanese, ha dichiarato che il governo del Libano non è riuscito a introdurre alcuna riforma significativa, per cui la “dollarizzazione” non fa altro che far precipitare ulteriormente il Paese in un circolo vizioso di declino. Di fatto, il Libano ora è nella stessa situazione di Venezuela e Somalia.