Il tragico numero delle vittime libanesi dei raid israeliani aumenta di ora in ora. Mentre scriviamo le fonti ufficiali parlano di 492 morti (di cui 24 bambini e 42 donne) e 1.545 feriti. “L’aggressione israeliana al nostro Paese è una guerra di sterminio”, ha dichiarato ieri il premier Mikati, sunnita, mentre Israele parla di “azione preventiva”. Nel tardo pomeriggio di ieri Netanyahu ha rivolto un appello alla popolazione libanese, esortandola a lasciare le case, perché è in esse che si nascondono le armi di Hezbollah e sono dunque potenziali bersagli. Secondo le forze militari israeliane sono stati colpiti dai raid aerei oltre 1.100 obiettivi di Hezbollah.



Una operazione di terra potrebbe essere imminente, secondo Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire.

“Tra le vittime non ci sono solo miliziani di Hezbollah – spiega Eid –, ma anche civili, donne e bambini. I feriti sono stati distribuiti su 27 ospedali. Non credo proprio che si possa più parlare di fisionomia ‘chirurgica’ dell’attacco, e nemmeno di ‘danni collaterali’”.



Qual è l’obiettivo di Netanyahu?

L’obiettivo dichiarato del governo israeliano è di riportare nelle loro case  gli 80mila sfollati che hanno abbandonato il nord Israele. Va detto, per completezza, che 120mila libanesi hanno dovuto lasciare decine di località lungo la frontiera per evitare le bombe dell’Idf.

Il governo Netanyahu intende neutralizzare la minaccia di Hezbollah. 

Hezbollah lo ripete dall’8 ottobre: fermate l’offensiva su Gaza e taceranno anche le nostre armi. Nasrallah lo ha detto anche giovedì scorso, lanciando di fatto una sfida a Israele. Cessate voi le ostilità a Gaza, se volete riportare a casa i vostri sfollati, altrimenti da 80mila diventeranno 800mila.



Non è una posizione conciliante.

Ma è stata chiara da subito, e non è cambiata. Hezbollah ha aperto le ostilità per alleggerire la posizione dei palestinesi, vittime dell’operazione di Israele contro Hamas.

In Libano questa scelta è condivisa da tutti?

No, è contestata, per vari motivi: perché è stata presa da un partiti e non dal governo, oppure per le sue ripercussioni. Che sono gravissime.

Parla del bilancio attuale delle vittime?

Sì. In 353 giorni di guerra le azioni israeliane hanno fatto circa 700 vittime libanesi, di cui 150 civili, i restanti sono miliziani di Hezbollah. Vuol dire che in un solo giorno sono stati uccisi più della metà dei libanesi morti nell’intera guerra.

Si torna allo stesso punto: cosa vuole Israele e quando si fermerà?

Come ho già detto, temo un’invasione di terra. È insita nella strategia di “sicurezza” israeliana: come si può pretendere di allontanare Hezbollah oltre il Litani, se non attraverso un intervento militare?

Come fa a dirlo?

È nei fatti. Se anche si tornasse alla fascia di sicurezza creata nel 1978 e rimasta fino al 2000, la gittata dei missili di Hezbollah raggiungerebbe ugualmente il territorio israeliano ben oltre la zone sfollate, come dimostrano i bersagli di queste ore: i razzi arrivano ad Haifa, Acri ed altre località interne. E poi il crescendo delle operazioni di Israele: fino a settimana scorsa la maggior parte delle vittime in Libano era costituita da miliziani, non da civili. Ora non più.

Hezbollah, nonostante le perdite subite, sembra avere una posizione attendista. Perché?

Hezbollah ha subito un duro colpo, lo ha ammesso lo stesso Nasrallah, diversi esponenti di spicco sono stati eliminati. Ma non la definirei attendista. Mira a obiettivi militari. La stessa paternità della strage di Majdal Shams a tutt’oggi è dubbia.

Tornando all’invasione?

Abbiamo assistito a un crescendo: prima i pager e i walkie talkie, poi le bombe sulla periferia sud di Beirut, infine l’attacco massiccio di ieri. È il quarto attacco in una settimana. Sono episodi che mi sembrano preannunciare un’iniziativa ancora più pesante.

Cosa pensa del fatto che Netanyahu ha esortato i libanesi ad abbandonare le aree bombardate da cui partono i lanci?

Già nel 1982 Israele chiamò “Pace in Galilea” l’invasione del Libano. Ieri sono cadute bombe in distretti che nulla c’entrano con Hezbollah: zone cristiane, per capirci.

Di fronte a questa situazione, i partiti libanesi sono coesi?

Fino a una settimana fa si continuava a litigare, anche per ovvie ragioni: Hezbollah ha sempre deciso da solo. Ma chi ha premuto il bottone degli attacchi elettronici ha determinato una svolta.

In che senso?

Si è scatenata una coesione immediata, si sono subito create file di cristiani, drusi, sunniti che sono andati in massa a fare donazioni di sangue. Le esplosioni innescate da Israele sono state elogiate come la “guerra del futuro”, invece erano solo una strage. E i libanesi hanno capito. Le esplosioni hanno ferito persone che non c’entravano nulla. Samir Geagea, leader del partito Forze libanesi, che non perde un’occasione per criticare Hezbollah, ha detto che questo non è il momento di entrare in beghe politiche. Dunque silenzio e coesione.

In questa nuova emergenza il parlamento potrebbe finalmente eleggere il presidente?

Ieri è arrivato in Libano l’inviato speciale di Macron, Jean-Yves Le Drian, che ha già fatto 4-5 viaggi per tastare e cercar di smuovere il terreno. Finora è stato inutile. Oggi incontrerà il premier Mikati. Sono pessimista, ovviamente mi auguro che i libanesi abbiano uno scatto di unità nazionale, finora hanno avuto tante occasioni ma le hanno sprecate. Il mio timore è soprattutto un altro.

Vale a dire?

Temo che l’eventuale elezione possa avvenire in un contesto come quello dell’82. Scadeva il mandato di Elias Sarkis, e l’invasione avvenne proprio nel momento in cui si doveva eleggere il nuovo presidente. Ma Bashir Gemayel, da neo-presidente di tutti i libanesi, non volle firmare subito la pace richiesta da Israele. Aveva bisogno di più tempo. Sappiamo come è andata a finire.

Dietro ogni guerra c’è un obiettivo politico. Anche stavolta?

Questo è sicuro. Ma quello di Israele non figura tra quelli dichiarati, la sicurezza. Lo stesso vale per Gaza: cosa vuole esattamente Israele? Che governi un raggruppamento di forze ostili ad Hamas? L’ANP però non va bene, una forza multinazionale neppure, e nemmeno i Paesi arabi; allora chi?

Ieri in tarda serata gli Stati Uniti hanno detto no a una operazione di terra di Israele. Si opporranno davvero?

Me lo auguro, ma non me lo aspetto. La settimana scorsa, tra la prima e la seconda ondata di esplosioni, Blinken era al Cairo. Mi riesce difficile credere che non sapesse nulla. Anzi. Se si guardano le tracce di Flightradar, che sono pubbliche, si può vedere un andirivieni intensissimo di missioni davanti al Libano di aerei dell’Us Navy. Gli americani dicono di non essere stati informati. Forse è vero: nel senso che sono loro ad avere informato gli israeliani…

Quando partirebbe l’invasione?

In Israele circolano analisi che esortano ad attaccare. Gli attacchi di settimana scorsa hanno creato caos e panico in Libano, non bisogna dar tempo ad Hezbollah di riorganizzarsi, insomma prima attacchiamo e meglio è, si legge su blog e media israeliani.

(Federico Ferraù)

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