La sintetica e stimolante replica di Giuseppe Emmolo mi spinge a fare chiarezza una volta di più. L’interpretazione da lui data al mio articolo del 25 aprile sembra attribuirmi un atteggiamento “terzo” rispetto ai fascisti e ai comunisti, in cui rivendico il ruolo cardine del partigianato “moderato” quale alternativa politica agli opposti estremismi. La vera alternativa, secondo Emmolo, sarebbe “un movimento politico la cui soggettività si concepisce come parte di una società italiana plurale”.



Tenendo presente quanto scritto su queste pagine in più occasioni e, più compiutamente, in Il paradiso devastato (Ares 2012), si può tranquillamente affermare che il pensiero attribuitomi non mi appartiene. Se ho posto l’accento sulla resistenza monarchica è stato per ricordare al centrodestra che il 25 aprile è anche suo. Il vero obiettivo è che tutti, ognuno per la sua parte, prendano sul serio la storia propria e altrui, senza temerne le contraddizioni.



Cercherò di farmi capire citando nientemeno che Benito Mussolini. In Autobiografia di un fucilatore, Giorgio Almirante racconta che un ufficiale della Rsi comunicò al Duce come, sul fronte di Cassino, i bersaglieri si fossero coperti di gloria. Mussolini, ex bersagliere, esultò per la notizia ma l’ufficiale gli fece notare che si trattava di bersaglieri dell’esercito del sud. “Lo so benissimo – rispose Mussolini –. Ma si tratta di bersaglieri italiani e io ne sono felice!”.

Un altro esempio, sempre tratto da Il paradiso devastato: nel maggio del 1945 due convogli di camion che trasportavano paracadutisti della “Folgore” si incrociarono su un ponte sopra il Po. Quelli che andavano a sud erano i parà, prigionieri degli Alleati, che avevano difeso il confine occidentale contro i francesi; quelli che andavano a nord erano i parà vincitori della battaglia per Bologna contro i tedeschi. Si riconobbero subito dai canti, dalla lingua, dalle uniformi. Ci fu dapprima sorpresa, poi incredulità, poi tutti scesero dai veicoli e si abbracciarono da fratelli ritrovati, mentre gli autisti e il personale di guardia restavano inebetiti. Inneggiarono per un poco ancora, iniziarono a cantare “Come folgore dal cielo” e risalirono sui camion che li portavano in direzioni opposte.



La storia militare ha queste pagine, forse ingenue, ma colme di un sentimento potente che è il riconoscimento del valore dell’avversario. Ed è attraverso la storia militare, nella sua implacabile oggettività, che è possibile riportare alla luce storie e volti che non possono essere dimenticati solo perché appartengono a qualcuno che la pensa diversamente da noi.

Ripenso, come benchmark, a Storia della guerra civile americana di Raimondo Luraghi, medaglia d’argento della Resistenza in Piemonte, agli ordini del comunista Pompeo Colajanni, il leggendario comandante “Barbato”. Chi abbia letto “Il Luraghi” come lo chiamiamo noi fanatici di questo monumento di 1200 pagine, rimarrà stregato da questa “Iliade” dove l’ex partigiano Luraghi ha un debole per i sudisti ma esalta in modo indimenticabile Lincoln e Grant e fa amare gli eroi dell’una e dell’altra parte. E per venire al nostro paese, pensiamo solo a questo verso per capire da dove veniamo: “A quella nobile Italia fia salute/ per cui morì la vergine Cammilla/ Eurialo e Turno e Niso di ferute” (Dante, Inferno, Canto II) .

Questa è la bellezza che ho incontrato (meglio: che mi è stata fatta incontrare) e che tento ogni volta di comunicare, per come mi è possibile, a tutti perché sinceramente trovo inconcepibile che le storie della Resistenza, come della Repubblica Sociale, non interessino o siano rifiutate quando sono “altro” da noi, se sono cioè riferibili a uomini che non sono “della nostra parte”.

Già in questa scelta di parte viene da ripensare all’amara ironia di Beppe Fenoglio ne Il partigiano Johnny: “I’m in the wrong sector of the right side”. Ma, a parte questa obiezione di fondo, queste storie sono la nostra carne e sangue, la nostra risorsa quando tutte le altre sono finite: insomma, la radice del nostro coraggio. E gli uomini del 1943, a loro volta, guardavano al Risorgimento come fonte di ispirazione per le gesta più audaci e dai rischi più alti; e gli uomini del Risorgimento, a propria volta, guardavano ancora più indietro, a Francesco Ferrucci a Gavinana, a Legnano, a Lepanto, a eventi che spesso erano ammantati da un mito che era giusto dissipare ma che nulla toglieva al valore di quella tradizione.

Il “movimento politico” cui accennava Emmolo non potrà mai essere un nuovo partito, ma una nuova cultura che attraversi e trasformi tutti i partiti, tutti i movimenti: ognuno a suo modo, certo, secondo una propria interpretazione della Storia, d’accordo, ma sempre tenendo presente le esigenze di Verità, Giustizia e Bellezza per cui siamo fatti. “Dilexit veritatem”: questo l’epitaffio del grande storico Marc Bloch, eroe della resistenza. Per quanto arduo, come si fa desiderare di meno, per noi e per gli altri?