Si sente dire spesso (forse troppo) “dalla pandemia dobbiamo imparare…”: nasce con questo spirito, ma vuole essere molto di più la lettura data oggi da Antonio Polito sul Corriere della Sera, a commento dello stop alle mascherine all’aperto che il Governo ha sancito dal prossimo 28 giugno. Il titolista (lavoro molto complesso, lo capiamo bene!) estremizza un concetto comunque inserito dal giornalista all’interno del suo articolo e pone questa domanda che campeggia nel titolo: «La lezione delle mascherine: più liberi a volto scoperto, ma sapremo restare “fratelli”?».



In effetti Polito nel suo editoriale analizza lo straordinario sacrificio che tutti abbiamo sopportato nel non mostrare i nostri connotati, il nostro sorriso o “muso”, i nostri sentimenti diretti per rispetto delle norme di sicurezza anti-Covid: «E forse è questa la prima grande lezione che possiamo trarre dall’era della mascherina: siamo resilienti, come si dice oggi. Sappiamo adattarci. Non molliamo. Abbiamo mantenuto il nostro way of life anche nelle condizioni più disagiate, ormai sappiamo andare al mare con la mascherina, fare un’apericena con la mascherina, perfino tifare allo stadio con la bocca coperta». Gli italiani, gli europei, i cittadini del mondo – a diverse latitudini – hanno saputo essere disciplinati anche nei mesi più difficili, ma resta una domanda tutt’altro che scontata che si staglia all’orizzonte: cosa succederà nei prossimi mesi, specie se qualche variante costringerà a ritornare all’epoca “buia” di rigorose chiusure e altri abominevoli lockdown?



LA MASCHERINA CI HA RESI MIGLIORI? COSA SIGNIFICA ESSERE FRATELLI

Come giustamente riporta il giornalista del CorSera, il Premier Conte aveva detto lo scorso anno con la fine del lockdown che «ne usciremo migliori» dalla pandemia: oltre alla “scaramanzia” (visto quanto avvenuto nei mesi successivi), la questione è cosa si intende per migliori. «Non c’è Stato etico che possa dirci come essere migliori. D’altra parte l’individualismo non è il demonio: è una molla della crescita, uno strumento del benessere, ha retto l’Italia nei momenti drammatici della sua storia, quando uno Stato su cui contare non c’era proprio», spiega ancora Polito. Il problema è quando l’individualismo diventa sprezzante e sfrenato, portando al declino purtroppo in Occidente della nostra società e cultura, tutta “intrisa” di battaglie su diritti e comportamenti che non riesce a recuperare quel senso di infelicità e delusione che alberga in molti cuori. «In fin dei conti, è questa la vera scommessa che ci aspetta: sapremo essere “fratelli tutti”, come nell’enciclica francescana di Francesco, pur restando quello che siamo, individualisti e libertari fino al limite del casinismo?», si chiede Polito rivalutando il concetto di Fraternità, magari anche auspicando che la flebile “unità nazionale” possa rimanere anche dopo la pandemia.



Resta però un piccolo monito quello che ci permettiamo di sottolineare, pur rispettando appieno il punto di vista del Corriere: proprio con la Fratelli Tutti del Pontefice si ribadisce l’essenza stessa del cristianesimo, del Vangelo: «“Fratelli tutti”, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita», si legge all’inizio dell’enciclica. Gesù ha insegnato con poche semplici parole che l’uguaglianza e la fraternità non sono date dalle nostre azioni, dai nostri comportamenti, nemmeno dalle nostre idee o da qualsivoglia legge che “ponga” il pur sacrosanto concetto: siamo fratelli perché figli di Dio, siamo uguali perché all’origine siamo creature, cioè creati come dono d’amore del Mistero. Come diceva ancora Papa Francesco nell’omelia della Pentecoste 2020, «Se ci rendiamo conto che quello che siamo è dono suo, dono gratuito e immeritato, allora anche noi vorremo fare della stessa vita un dono. E amando umilmente, servendo gratuitamente e con gioia, offriremo al mondo la vera immagine di Dio. Lo Spirito, memoria vivente della Chiesa, ci ricorda che siamo nati da un dono e che cresciamo donandoci; non conservandoci, ma donandoci». Se proprio dobbiamo “imparare una lezione” da una tremenda pandemia, forse, recuperare quel semplice ma rivoluzionario passaggio del cristianesimo potrebbe essere molto più efficace di un pur importante e positivo “sforzo” di rimanere uguali anche “oltre” le mascherine.