La morte di Libero De Rienzo, stroncato a 44 anni da un infarto, ha aperto un dibattito sul modo in cui il giornalismo sta trattando la tragica vicenda, in particolare gli sviluppi dell’inchiesta della Procura di Roma per morte in conseguenza di altro reato, dopo il ritrovamento di eroina nella sua abitazione. Ci sono due fazioni. La prima attacca chi riporta dettagli ritenendoli irrispettosi e inutili, partendo con accuse di mancanza di rispetto nei confronti della famiglia dell’attore in assenza di certezze. Ma c’è chi invece rivendica il proprio lavoro, come Marco Mensurati di Repubblica, giornale finito nel mirino insieme al Corriere della Sera. «Il compito di un giornale e di un giornalista, però, non è quello di celebrare. Ma di raccontare i fatti. E se la notizia, come in questo caso, è una bustina di eroina trovata nella casa dell’attore, non pubblicarla sarebbe un errore. Grave. E pericoloso. Perché salterebbero i meccanismi di controllo e di imparzialità che sono alla base del rapporto con i lettori». Il giornalista ha fatto notare che non vi furono critiche quando il quotidiano raccontò la vicenda di Maddalena Urbani, figlia di Carlo Urbani, il medico che isolò la Sars.

«Parlammo del ritrovamento del suo corpo, della morte per probabile arresto cardiaco, del sequestro dell’eroina e degli psicofarmaci, scrivemmo dell’autopsia e delle indagini partite dalle analisi del suo telefonino e infine raccontammo dell’arresto dell’uomo che le aveva dato la droga. Nessuno del circolo intellettuale che oggi ringhia contro i giornali ci trovò niente di strano. Quelle erano notizie, noi stavamo facendo il nostro mestiere».

LIBERO DE RIENZO, SCONTRO TRA GIORNALISTI

Nel dibattito sulla morte di Libero De Rienzo e cioè sul modo in cui viene trattata dalla stampa si aggiunge Dagospia. «Già, che vergogna dire la verità quando è un nostro compagno che muore di eroina! Non dovremmo nascondere la polvere sotto il tappeto persiano? Si può, si deve dire dell’assessore leghista che gira con la pistola credendosi un John Wayne, ma va taciuto che il povero De Rienzo teneva l’eroina sul comodino», scrive polemicamente il sito di Roberto D’Agostino. Non è tardata ad arrivare la replica di uno dei giornalisti che ha mosso le critiche più aspre, Boris Sollazzo su Il Dubbio. Oggi è tornato alla carica rispondendo nel merito. «Come mai nei vostri apodittici “le notizie vanno date, perché sì, pappappero” non citate capisaldi della nostra società civile, del nostro ordinamento e della professione come il rispetto del segreto istruttorio (ah, se la risposta è: lo fanno tutti, avete la risposta sul perché a malincuore ho sottolineato che da cani da guardia siamo diventati topi di fogna). Non ci sono carte deontologiche che proibiscono il 70% delle cose che avete scritto nei vostri pezzi?». La mancanza di autocritica da parte dei due giornali lo spinge a ricordare che è stata violata proprio la deontologia evocata come lasciapassare nelle repliche al Dubbio, «in particolare il principio per cui anche il giornalista deve rispettare il codice penale. A cominciare dal segreto d’indagine». Il riferimento è, ad esempio, alla vicenda del presunto spacciatore, che così potrebbe essersi messo in fuga o potrebbe aver inquinato prove.