Molti sono i punti di vista dai quali è possibile guardare la scuola media. In queste pagine si è scelto di farlo a partire dai suoi protagonisti: studenti e docenti alle prese con le incombenze di ogni giorno.
Tra migrazioni ed apprendimento
Cominciamo dagli studenti immersi in un momento particolare del loro cammino di crescita.
“Si tratta di un periodo di “grandi migrazioni” in cui l’individuo abbandona un corpo infantile e inizia un distanziamento dalla famiglia, per rivolgersi con interesse crescente al gruppo dei pari. Passa gradualmente da ragionamenti di tipo concreto a una logica relativamente capace di astrazione. Diventa parzialmente più critico verso gli insegnanti.” (Tonolo 1999).
Le conseguenze di queste “migrazioni” invadono le aule scolastiche: i ragazzi sembrano incapaci di restare seduti sulle sedie, vagano con gli occhi verso la finestra, il loro sguardo è spesso rivolto altrove, fugge dalla realtà della classe. Ragazzi e ragazze indifferentemente sono innanzitutto preoccupati del loro aspetto esteriore, della scelta dei vestiti, dell’acconciatura dei capelli.
Priorità assoluta è essere accolti nel gruppo dei pari: gli insegnanti a volte si trovano coinvolti in relazioni tra amiche del cuore che da un momento all’altro vanno in crisi, fra lacrime, rabbia e drammi.
E se questi sono i problemi della quotidianità, non di rado ci si trova davanti a crisi familiari che provocano ferite dolorose, con ripercussioni pesanti anche sul percorso scolastico del ragazzo, fino ad arrivare a patologie di varia natura che hanno notevoli conseguenze sulla regolare frequenza delle lezioni.
Che fare? Innanzitutto ridare dignità alla professionalità del docente delle scuola secondaria di primo grado, riaffermando la specificità del suo ruolo e dei suoi compiti. Il docente non è un animatore, né uno psicologo, ma qualcuno chiamato ad introdurre gli allievi al mondo delle discipline che la tradizione del sapere ci ha consegnato come modi per conoscere la complessità della realtà. Il docente non è un amico dei ragazzi, né colui che deve dirimere le loro liti e le loro gelosie, non sono queste le priorità del suo lavoro.
Il docente di scuola media
Se il compito del docente è quello di insegnare le discipline come strumenti di conoscenza del reale, qual è la fisionomia specifica dell’insegnante della scuola secondaria di primo grado? La risposta a questa domanda ha molteplici e sostanziali implicazioni di carattere didattico.
Nel tentativo di ridare rigore, serietà, qualità al loro lavoro quotidiano alcuni docenti di scuola media sono tentati di mediare il loro volto da quello degli insegnanti della secondaria di secondo grado.
Ma essere professionali nel proprio lavoro, seri, esigenti, rigorosi dal punto di vista dei metodi e delle conoscenze non può equivalere ad appiattirsi su una prassi mediata da altri.
Certo le difficoltà sono molte, innanzitutto perché è proprio in questo ordine di scuola che emergono le vistose differenze tra le capacità e le fisionomie dei ragazzi e contemporaneamente si allarga la tentazione irragionevole di voler condurre tutti agli stessi traguardi. La scuola media continua a proporre un modello di indifferenziazione e un mito dell’uguaglianza, che l’esperienza quotidiana tra i banchi smentisce.
Occorrerebbe pertanto valorizzare veramente l’autonomia delle scuole e la creatività dei docenti per riconoscere percorsi diversi: momenti di lezione per gruppi di elezione e di livello e, all’interno dello stesso gruppo classe, richieste che rispondano alle capacità di ciascuno.
“Poi venne il mio salvatore. Un professore di francese. In prima superiore, che mi scoprì per quello che ero: un affabulatore sincero e allegramente suicida. Colpito forse dalla mia propensione ad affinare scuse sempre più fantasiose per le lezioni non studiate o i compiti non fatti, decise di esonerarmi dai temi per commissionarmi un romanzo. Un romanzo che dovevo redigere nell’arco del trimestre, in ragione di un capitolo alla settimana. Soggetto libero, ma preghiera di consegnare i miei fascicoli senza errori di ortografia, “per elevare il livello della critica” (Ricordo questa espressione mentre ho dimenticato tutto del romanzo).” (Pennac 2008).
La modalità di lavoro del “salvatore” di Pennac dovrebbe essere assunta dal docente della scuola media. Differenziare i compiti e le richieste è l’unico modo per consentire esperienze di apprendimento a discenti che si trovano in condizioni molto diverse: chiedere a tutti le stesse cose porta solo al livellamento verso il basso e alla crisi del desiderio di imparare, perché non si fa più esperienza di imparare. L’apprendimento diventa la maschera grottesca della ripetizione senza senso di informazioni e di meccanismi avulsi dalla realtà e dall’io.
Senza avere la presunzione di risolvere un problema così complesso in poche pagine, cerchiamo almeno di offrire qualche indicazione su come potrebbe muoversi un docente di scuola secondaria di primo grado, che non rinunci al desiderio di generare esperienze di apprendimento.
Immedesimazione e narrazione
L’insegnamento è la proposta di un cammino di esplorazione e di scoperta della realtà sempre nuovo, non è la riproposizione di un modello o di una pratica. Per questo occorre liberare il campo da alcuni equivoci che rischiano di vanificare l’apprendimento dei ragazzi: si tratta degli idoli del libro di testo e del programma, che rischiano di favorire un sapere enciclopedico ed indifferenziato.
La famosa espressione di Quintiliano:“Non multa, sed multum” è un consiglio prezioso per la prassi didattica: selezionare, scegliere sono verbi essenziali della didattica dell’insegnante di scuola secondaria di primo grado.
La rincorsa al fantasma del mitico programma e alla conclusione del libro di testo, da seguire dall’inizio alla fine, cercando di saltare il meno possibile, sono ansie dannose alla buona pratica didattica.
Nulla è più lontano dall’arte dell’insegnamento della ripetizione, il docente è un creatore continuo, per esempio è un grande lettore che sceglie tra i libri che ama le pagine più significative da proporre e che è sempre alla ricerca del nuovo.
La sua passione diventa capacità di far immedesimare, di coinvolgere, di introdurre alla bellezza della parola, di condurre oltre l’espressione linguistica e l’impressione iniziale al regno del significato.
La voce del docente che legge coinvolge nel mondo della narrazione e attira l’attenzione del ragazzo; è un evento atteso, che fa dire a volte: “Prof, cosa ci legge oggi?”.
La scelta dei testi deve essere fatta con la sapienza di cui parla Tolkien: “Occorre scegliere libri per bambini che tengano conto della loro crescita; che siano al di là anziché al di sotto della loro misura, al pari dei loro indumenti”, l’immedesimazione con il mondo letterario ha infatti come finalità la possibilità di far crescere la categorialità del ragazzo, la sua esperienza del reale che non si appiattisce sulla ripetizione di sé, ma che si apre verso nuovi orizzonti di senso.
Studio e argomentazione
Davanti alle numerose difficoltà di apprendimento che si rivelano in un buon numero di studenti il rischio dell’insegnante di scuola media è la semplificazione eccessiva, fino ad arrivare a una banalizzazione mortificante per l’intelligenza. Non si aiuta a imparare proponendo la ripetizione di un meccanismo, ma piuttosto indicando i “passi”, per esempio, che la ragione deve compiere per arrivare a riconoscere una struttura linguistica. Il meccanismo uccide la ragione e il pensiero che si alimentano solo con un approccio creativo allo studio e alla realtà. Il docente non trasmette semplicemente delle conoscenze, ma cerca di farne comprendere la loro genesi, favorendo così nel discente la capacità progressiva di dar ragione delle proprie affermazioni.
Argomentare, sostenere una tesi, educare al gusto della ragione, sono priorità che devono essere perseguite nell’arco della scuola media.
L’educazione allo studio è un’altra finalità fondamentale da raggiungere in questi anni. Nel triennio lo studente deve gradualmente acquisire un metodo di studio, che lo aiuti a selezionare le informazioni essenziali del testo, ad esporre ed argomentare.
“Va detto con forza che la cura della competenza metodologica degli allievi; la preoccupazione di insegnare a studiare, è una dimensione irrinunciabile e costitutiva, insieme a quella educativa, relazionale, culturale e didattica, di una prassi magisteriale che suscita studio ed educa allo studio” (Tempesta 2008).
La cura della competenza metodologica dovrebbe costituire un terreno fertile di collaborazione tra gli insegnanti del Consiglio di Classe della scuola media, la preoccupazione per la sua acquisizione potrebbe essere un prezioso contributo per superare la parcellizzazione e l’enciclopedismo: due dei mali più gravi di cui soffre questo ordine di scuola.
Una fisionomia con – creativa
All’interno di una ricerca di alcuni anni fa è stato chiesto agli studenti adolescenti di tracciare un profilo dell’insegnante che preferiscono, ne è uscito il seguente ritratto: “Anzitutto lo vorrebbero ricco di fantasia e di stimoli per gli alunni. In un’età di espansione verso la ricerca di una propria fisionomia unica, essi desiderano un insegnante che sappia essere “con creativo” con loro. Si tratta di un quadro davvero interessante perché tratteggia le caratteristiche essenziali del docente di scuola secondaria di primo grado: con – creativo, cioè capace di far entrare altri nella disciplina che insegna, rifuggendo dalla ripetizione nominalista delle nozioni e capace di personalizzare il proprio insegnamento, valorizzando così le capacità e gli stili di apprendimento dei suoi studenti.
L’organizzazione scolastica si dovrebbe modellare sulla professionalità di questo docente per rifuggire dalla rigida astrattezza che porta a uniformare, a condurre tutti agli stessi traguardi, impedendo così la maturazione umana ed intellettuale di ciascuno: questo è un altro dei gravi mali di cui soffre la scuola secondaria di primo grado, che deve preparare studenti che si iscriveranno a corsi di studi molto diversi tra loro. La scuola media può essere orientante solo se non si lascia ingabbiare dal mito dell’uguaglianza e della semplificazione che diviene banalizzazione.
Uscire dal labirinto
Le difficoltà sono certamente tante, l’insegnamento in questo segmento dell’istruzione non è facile, ma forse c’è un sottile filo di Arianna, che potrebbe aiutare ad uscire dai meandri del labirinto: la valorizzazione dell’esperienza. Esperienza del docente che sperimenta percorsi con-creativi con i suoi allievi, esperienza dei singoli studenti da promuovere attraverso la personalizzazione degli apprendimenti, liberandosi finalmente dall’uniformità di dover fare tutti le stesse cose, esperienza di istituti che praticano una vera autonomia scolastica, esperienza di uomini e donne di scuola che interrogano la realtà attraverso la tradizione culturale delle discipline di studio.
G. Tonolo, Adolescenza e identità, Il Mulino, Bologna, 1999
D. Pennac, Diario di scuola, trad. di Y. Melaouah, Feltrinelli, Milano, 2008
M. Tempesta, Lo studio come problema di educazione, Armando Editore, Roma, 2008