Il “Rapporto sulla scuola in Italia 2011” della Fondazione Agnelli ci ricorda che la scuola media è l’anello debole della scolarizzazione nel nostro paese confermando i punteggi della TIMSS (Trend In International Mathematics And Science Study), secondo cui  l’Italia è fanalino di coda, ben al di sotto di Cina, Norvegia, Giappone e Stati Uniti: è il paese con il calo degli apprendimenti più netto fra elementari e medie. Per Andrea Gavosto, estensore del Rapporto Agnelli, inoltre, i nostri preadolescenti – non certo diversi per comportamenti tipici e interessi dai loro coetanei europei – hanno un rapporto peggiore con la scuola, si trovano male e lo dicono rallentando sensibilmente la loro capacità di apprendimento. Anche se qualcuno contesta questa lettura, dato più dato meno, la situazione è davvero allarmante se pensiamo al disorientamento e alla dispersione nel passaggio al biennio e alla fine del biennio delle superiori.



Che fare? Cosa è possibile cambiare nella scuola media che da subito, alla nascita (31 dicembre 1962) si è presentata come secondaria di primo grado, orientativa, tempo e spazio, in cui offrire “un minimo di cultura comune a tutti come fondamento della cittadinanza” (Scotto di Luzio, 2007, p.356)?

 

Secondaria di primo grado



Storicamente l’aggettivo “secondaria” viene usato come attributo di un segmento del sistema scolastico, per cui parliamo di una secondaria di primo e di secondo grado. Tuttavia il termine “secondaria/o” indica anche una categoria pedagogica e didattica: riguarda processi e livelli di preparazione culturale in continuità-discontinuità con altri ordini di scuola (Rigotti 2009).

Il contenuto e la natura della discontinuità della ex-scuola media rispetto sia alla primaria sia alla secondaria di secondo grado vengono sinteticamente espressi nel sintagma “scuola secondaria di primo grado”. Espressione quest’ultima che appartiene al DNA di quest’ordine di scuola. La ritroviamo infatti nell’articolo 1 della Legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 e in tutti gli altri interventi legislativi.



La secondarietà di primo grado è caratterizzata soprattutto da un uso sempre più consapevole della ragione e della libertà documentabile nel ricorso a modelli di approccio scientifico verificabili nell’apprendimento delle discipline sempre più significativo, critico ed autonomo (Mazzeo 2005) e, quindi, nello studio come consapevole ricerca e verifica di una risposta personale alle esigenze di verità, di bellezza, di giustizia. Si configura come percorso graduale alla grandezza, alla complessità e alla sensatezza della realtà attraverso lo studio, in un’età di cambiamenti psicofisici talmente profondi, tumultuosi, imprevedibili che qualcuno definisce seconda nascita (Charmet Rosci 1992).

Non dimentichiamo che l’età tra gli 11-14 anni, età dell’umano tra le più delicate, drammatiche e preziose, è il tempo della riscrittura in cui l’umano è strutturalmente in fase di de-costruzione, ri-strutturazione, di ri-applicazione al reale. E’ il periodo in cui i ragazzi e le ragazze tirano fuori quello che hanno nella bisaccia e lo vogliono interrogare, riformulare, provocando l’adulto e il contesto e le loro  ipotesi di senso  della realtà, della scuola e dello studio.

Concretamente la scuola media è secondaria di primo grado in relazione al soggetto, all’oggetto e al contesto. Rispetto al soggetto che apprende, per cui essa deve sapersi curvare per farsi strumento e luogo di ogni alunno nella varietà e diversità degli sviluppi soggettivi a carattere individuale/cognitivo/affettivo. In relazione all’oggetto di apprendimento (che durante il triennio è sempre meno materia e sempre più disciplina), e quindi alle modalità, per cui la scuola media deve articolarsi in modo da favorire una più approfondita acquisizione critica delle conoscenze ed una maggiore elaborazione personale del sapere al fine di maturare competenze sempre più ampie e trasversali. Rispetto ai rapporti con i protagonisti del quadrilatero dello studio (docenti, compagni, genitori, disciplina di studio), per cui la scuola deve organizzarsi ed “offrirsi” come comunità di apprendimento capace di orientare promuovendo una responsabilità personale nella scelta di come continuare gli studi.

 

Orientativa

La scuola media è orientativa non perché anticamera delle superiori, ma perché laboratorio di metodo di studio, cioè di ragioni e di passi di una applicazione all’apprendimento insegnato, sistematica e adeguata al soggetto-studente di quest’età, all’oggetto (materie,discipline) e al suo essere scuola secondaria di primo grado.

Lo studio non ha nulla a che fare con l’apprendimento meccanico, ripetitivo, libresco, in funzione di restituzione di nozioni e di auto addestramento di abilità scolasticistiche (che hanno valore solo nel recinto della scuola). E’ infatti esercizio della ragione, dell’affettività e della libertà mediante l’applicazione l’apprendimento delle discipline, punti di vista sulla realtà, modalità di interpretazione, simbolizzazione e rappresentazione del mondo.

Si tratta di un’applicazione sistematica ed insistente che prende avvio e matura dentro una relazione autorevole, significativa, capace di avanzare una proposta e testimoniarne la bellezza e la fattibilità ( Mazzeo 2005).

L’abbiamo constatato più volte. Un preadolescente, da solo, molto probabilmente, non si impegnerebbe mai all’apprendimento di una disciplina scolastica. Se sceglie di applicarsi, in genere, è perché avverte una pressione, meglio una proposta in un ambiente che si struttura, si offre, e si valuta come aiuto, sostegno e compagnia al ragazzo/a nel riscrivere se stesso; una “pressione”-proposta come incisiva consegna di ipotesi di lavoro da assumere e verificare nel cammino del sapere e del conoscere, per cui lo studio diventa progetto personale, percorso e processo di apprendimento, prodotto e promozione di conoscenza e competenze (Mazzeo 2011) .

Cosa questa velleitaria? Non mi pare. Conosco scuole statali e paritarie che da anni propongono lo studio come un dialogo-paragone con i grandi uomini, all’interno di una compagnia (classe) guidata, in vista di una maggior soddisfazione nella conoscenza della realtà. Naturalmente questo non accade magicamente, in forza né di belle parole né di scaltre strategie sul tipo come “studiare senza averne voglia”. E’ necessario con-segnare un metodo di studio.

 

In cammino

Con-segnare un metodo di studio è favorire nel contesto del triangolo dell’apprendimento insegnato una riflessione sull’esperienza di studio svolto e vissuto con metodo. Non è addestrare all’uso di strategie o di carabine metodologiche. È suscitare ed indirizzare la voglia di apprendere e di conoscere, di compiere questo o quel passo, di usare questa o quella tecnica. È porre dei segni efficaci sul cammino dell’apprendimento e della conoscenza, che non riguardano solo i contenuti o solo le procedure, ma un insieme di contenuti e di procedure in un contesto dinamico ed evolutivo di continue prese di posizione sulle ragioni e sui passi dello studio nell’avventura della conoscenza. Il metodo di studio infatti è strada che si offre e si scopre giorno dopo giorno . L’offre la scuola come prospettiva per cui vale la pena intraprendere l’avventura dell’apprendimento insegnato; la indica il docente come percorso della disciplina di studio.  Se questo accade, la meta non è  un minimo di cultura comune a tutti a fondamento della cittadinanza , l’incremento della autocoscienza di ciascuno.

Spesso si confonde metodo con tecnica e l’esito è devastante. La tecnica è impersonale, non rispetta né il soggetto né l’oggetto, presume risultati garantiti. Il metodo è insieme delle mosse cognitive, affettive e metacognitive di un soggetto consapevole che per apprendere (afferrare con la mente) un oggetto deve sottostare alle condizioni che esso impone. Il metodo è per questo profondamente personale e nello stesso tempo decisamente “oggettivo”, cioè funzionalmente adeguato all’oggetto, per cui esiste un metodo specifico in ogni disciplina e personale di ogni alunno. Si impara soprattutto nella scuola media, scuola del tirocinio dello studio personale sempre più efficace, sempre più autonomo, sempre più funzionale alle singole materie.  Si impara seguendo quel “maestro di metodo”, che dovrebbe essere innanzitutto il docente della disciplina.

 

Insegnanti adulti

La scuola media – sicuramente – non è per adulti indecisi, impazienti, scettici, ”piagnoni”, incurabilmente individualisti, sospesi tra il lavoro della scuola e altre attività lavorative… rassegnati alla routine. “Chi può insegnare alle medie?” ci chiedevamo in un convegno di docenti della scuola media anni fa. Non ho dubbi. Può (deve, se mi è permesso) insegnare solo il docente che sa ed impara continuamente ad essere uomo e, in questa sua scoperta dell’irriducibilità della sua avventura umana verso il destino, coniugare le competenze culturali e disciplinari con le qualità e le virtù di tipo relazionale, metodologico e didattico. È l’insegnante che sa essere autorevole nella relazione con gli alunni, tenace nella proposta di lavoro, paziente e creativo nella mediazione didattica tra l’alunno, la disciplina, la realtà. È il docente che si riappropria continuamente della sua disciplina propria nel lavoro con preadolescenti che oscillano tra inerzia e ricerca, depressione ed esuberanza ludica, voglie e dedizione,  smarrimenti ed improvvisi entusiasmi. È il professionista dell’apprendimento insegnato, in un’ équipe di professionisti, desiderosi e capaci di costruire “ambienti” (classe, trama di rapporti, ore di lezione, uso di strumenti) in cui si educa istruendo, si coopera imparando per “con-segnare” un metodo di studio sempre più personale, funzionale alle discipline ed efficace a tutti e a ciascuno.

Questo professionista, però, ha bisogno di spazio vitale: più autonomia meno burocrazia, più libertà meno statalismo ed anarchia (organizzata), più cooperazione meno collegialità formale e corporativismo da caverna, più cultura meno scientismo e presunzione tecnologica. Urgentemente, pena soprattutto non solo l’invecchiamento fisico dei docenti ( la media è quella con il maggior tasso di anzianità docente rispetto alle altre scuole), ma l’alzheimer della scuola “consumando così l’estremo paradosso di un’istituzione che mira a produrre autonomia personale nelle forme di una relazione di dipendenza” (Scotto di Luzio, op.cit., p.362). 

 

 

Charmet Rosci (1992), La seconda nascita, Milano, Edizioni Unicopli

Chiosso G.(2007), Educare perché ciò che non è ancora possa essere, in A.A.V.V., Il rischio di educare nella scuola, Fondazione per la sussidarietà

Fondazione Agnelli (2011), Rapporto sulla scuola in Italia 2011, Laterza, Bari

Mazzeo R. (2005), L’organizzazione dell’apprendimento efficace, Erickson, Trento

Mazzeo R. (2011), Studiare: mission impossibile?, Brescia, La Scuola.

Rigotti E. (2009), Conoscenza e significato, Ed. Mondadori Università

Scotto di Luzio A., La scuola degli italiani, Il Mulino, Bologna, 2007, p.343-348 

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